L’origine della “Manchester d’Italia”: Biella vista da Cavour
[di Danilo Craveia, da “Eco di Biella” del 20 novembre 2023]
Ieri l’altro [sabato 18 novembre, n.d.a.] l’Alta Valle Cervo e Biella hanno ospitato l’Associazione Amici della Fondazione Cavour di Santena. Il gruppo di circa cinquanta persone ha visitato la Casa Museo dell’Alta Valle del Cervo di Rosazza, il Museo della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Campiglia Cervo e, dopo il pranzo al Ristorante Asmara, si è svolta la prevista passeggiata in città. Il presidente Gino Anchisi e gli altri amici della Fondazione Cavour hanno potuto vivere la storia e la terra dei valìt, tenaci montanari e grandi costruttori, chiusi nella Bürsch e aperti al mondo intero. Il pomeriggio è stato un momento di scoperta della Biella cavouriana, tra la mitologia della Manchester d’Italia, l’eredità ideologica e politica trasmessa a Quintino Sella e l’epopea risorgimentale dei La Marmora, omaggiati nel loro pantheon della basilica di San Sebastiano. Cavour, in uno dei suoi primi discorsi parlamentari da ministro nel 1851, dichiarò: «Io ho visitato il Biellese, e non so in qual parte del mondo vi sia una popolazione più svegliata, più atta al lavoro, più capace di fare ottimi operai, di quella che è in quella Provincia». Molto è cambiato da allora, ma Biella può trovare per il domani una forte ispirazione in quelle parole di quel ieri lontano.
Tutti sanno che Biella è la Manchester d’Italia. Si è sentito mille volte questo adagio che, a dire il vero, si applica al passato remoto e non a quello recente, o al presente. Manchester ha smesso da tempo di essere un lusinghiero termine di paragone in ambito industriale tessile. Lassù, sulle sponde dell’Irwell, da decenni non si tesse più. Quando, nel 1953, uscì il volume Biella Manchester d’Italia curato da Mario Gariazzo, lassù, sulle sponde dell’Irwell, si stava già compiendo il declino. Eppure, il “titolo” attribuito da Cavour al Biellese è rimasto, testimone di epoche antiche. Già, Cavour… Fu lui, il conte Camillo Benso, a vedere per primo quella connessione che tanto commosse ed esaltò i nostri avi. Fu il “Tessitore” dell’Unità d’Italia ad accostare Biella e Manchester. Ma come e quando fu stabilito l’indovinato connubio? E, con uno sguardo meno letterale e più storiografico, che cosa significava quell’affermazione? Il 26 giugno 1860, quando Cavour era Presidente del Consiglio dei Ministri per la seconda volta, durante la seduta della Camera dei Deputati, si trovò a dialogare con l’On. Quintino Sella. Quest’ultimo, che stava perorando la causa dell’istituzione del liceo a Biella onde dare ai giovani biellesi un’alternativa laica e tecnica alla “scuola di filosofia” del Seminario, disse: «L’onorevole presidente del Consiglio mi pare abbia detto una volta che Biella era il Manchester del Piemonte». Cavour interruppe Sella suscitando l’ilarità generale: «A Manchester non v’hanno scuole di filosofia!». Sella replicò che sarebbe stato comunque soddisfatto se Biella avesse potuto avere le istituzioni che vantava la capitale tessile inglese e la discussione proseguì fino a quando Cavour ribadì la sua posizione in merito alla richiesta presentata circa il liceo biellese citando «quelle arti che formano di quella provincia la Manchester del nostro Stato». Sicuramente Cavour avrà espresso lo stesso pensiero in altre sedi, ma in quel contesto, la sua rimarcata esternazione assumeva tutti i caratteri dell’ufficialità. Biella Manchester d’Italia nasce quel giorno. Anche se, per esercizio di pignoleria, occorre segnalare che Sella si era modestamente accontentato di far riferimento al Piemonte e Cavour aveva allargato l’orizzonte solo al “nostro Stato”, cioè il Regno di Sardegna, visto che il Regno d’Italia sarebbe stato istituito solo l’anno successivo. Quindi l’estensione all’Italia risulta essere un traslato postumo a Cavour che, come noto, morì il 6 giugno 1861. Biella Manchester d’Italia fu un’evoluzione geografica di quella doppia dichiarazione, ma prima che dal Piemonte si arrivasse a tutta la nazione si dovette attendere non solo l’unificazione, ma anche un “assestamento” concettuale formatosi via via.
Un livello intermedio si trova in un discorso politico tenuto dal notaio Pietro Angelo Boggio del Mortigliengo durante il banchetto «che ebbe luogo a Biella nella sera delli 12 dicembre 1861 a cui intervennero le autorità locali e 60 circa dei più illustri signori di quella Manchester subalpina e suo circondario». Il testo della concione, pubblicato nel 1862 da Giuseppe Amosso (una copia è conservata presso la Biblioteca Civica di Biella, all’interno della Miscellanea di Quintino Sella), è piuttosto particolare, con continui riferimenti a Napoleone Bonaparte, ma quel che va notato è la qualificazione di Biella: Manchester subalpina. Che non vuol dire, a rigor di forma, italiana. E allora? A questo punto si tratta di definire una data sulla quale porre il discrimine lessicale che, a tutto il 1861, non si può ancora assegnare. Biella è sicuramente la Manchester d’Italia a partire dal 1864. Forse anche prima, ma mancano le prove provate, perciò vale quel millesimo e non altri precedenti. In occasione del Congresso dei Naturalisti Italiani dei primi di settembre del 1864, tenutosi in quel di Biella, il dottor Benedetto Trompeo, biellese, presentò il suo Saggio di osservazioni sul Circondario Biellese. Il comm. Trompeo, il 2 settembre 1864, lesse il saggio nel quale si trova scritto che Biella era meritatamente chiamata Manchester d’Italia. Nel 1876, Giuseppe Tempia, biellese docente presso la Scuola Professionale di Ivrea, nella sua Piccola Enciclopedia Commerciale ed Amministrativa scriveva: «Chiedo venia al lettore se lo intrattengo per poco particolarmente sulla manifattura della lana nel Biellese; questo lo faccio tanto più volontieri in quanto che esso è da tutti ricordato per la sua operosità, e anche perchè mi è caro di poter spendere alcune linee in lode di Biella, mio paese nativo […]. Il valente scrittore, profondo conoscitore dei tempi degli uomini e delle cose che è Davide Bertolotti, la qualificò: «La nemica dell’ozio accorta Biella». Ed il valentissimo e compianto ministro Cavour paragonò Biella al primo centro industriale inglese chiamandola la Manchester d’Italia». Come si è visto, Cavour non pronunciò esattamente quella frase, ma l’“aggiornamento” era già stato fatto. Il 17 agosto 1881, il “Monitore Industriale Italiano – Gazzetta delle tranvie” pubblicò un articolo dell’ing. Tommaso Gavosto sull’acquedotto cittadino in fase di completamento. L’ingegnere affermò che Biella era la Manchester d’Italia per antonomasia. Nel 1888 si registra il primo, garbato, ridimensionamento. Va ascritto a Luigi Schiaparelli, illustre paleografo, che, all’adunanza dell’Accademia delle Scienze di Torino del 25 novembre, rievocò il lavoro di Quintino Sella sulle memorie archivistiche biellesi. Per presentare Biella, secondo il suo stile misurato e razionale, dichiarò che era notorio «come a motivo delle numerose e fiorenti industrie del circondario e della città di Biella, questa coi suoi 14,000 abitanti venga con qualche esagerazione battezzata col pomposo nome di Manchester italiana per una relativa analogia colla città inglese di questo nome, che novera più di 340,000 abitanti, ed è dopo Londra e Liverpool la più ricca e industriosa terra della Gran Bretagna». Cavour visitò Biella e il Biellese durante il “tour” compiuto nelle settimane antecedenti all’assunzione dell’incarico di Ministro dell’Agricoltura. Non è nota la data di quella sua visita, ma è da collocarsi tra il 5 agosto (morte del suo predecessore al Ministero dell’Agricoltura) e l’11 ottobre 1850, giorno del suo giuramento come ministro. Quando passò da Biella aveva quarant’anni e una consolidata esperienza del mondo. Nell’inverno del 1834 Cavour aveva iniziato a viaggiare per l’Europa. In Francia e, specialmente, in Inghilterra, il paese che per lui rappresentava il modello di riferimento ideologico e politico. Conosceva la realtà sociale della Gran Bretagna e conosceva Manchester. Anzi, proprio alla “scuola di Manchester” di Cobden Cavour di rifaceva per dare senso e programmi al suo liberismo ispirato al più puro laissez-passer. Biella non era solo simile a Manchester per l’analogia merceologica e produttiva, ma lo era, soprattutto, perché in quel momento storico il Biellese era la porzione più britannica del Regno di Sardegna. In Biella e convalli si manifestavano le stesse condizioni economiche del Regno Unito. È questo il “secondo livello di lettura” di quella sua frase che, al “primo livello”, è sempre stata tramandata solo come un’attribuzione onorifica mantenuta con orgoglio, ma anche con una sudditanza psicologica che a ben guardare, col passare del tempo, ha avuto sempre meno ragion d’essere. Affermare che Biella era la Manchester d’Italia era anche e soprattutto riconoscere qualitativamente i tratti comuni tra due contesti quantitativamente non paragonabili. Ma il Biellese necessitava del manchesterismo economico a partire dalla libertà di importazione delle materie prime delle quali era sprovvista (Cavour si occupò anche di ferrovie segnalando che il collegamento con Genova era fondamentale per approvvigionare gli opifici biellesi, considerando che la lana autoctona era molto scarsa per qualità e per quantità). Il Biellese, come l’Inghilterra, viveva di importazione. Alla libertà di importare (senza dazi) doveva corrispondere un’altrettanta ampia opportunità di esportare e qui lo Stato avrebbe dovuto fare la sua parte investendo in infrastrutture e servizi che avrebbero abbattuto i costi di movimentazione delle merci, offrendo alle imprese maggior agio nel rendere i prezzi più competitivi sul mercato interno e, più ancora, su quello internazionale. Sotto questo profilo, la città sul Cervo avrebbe dovuto essere “trattata” come la città sull’Irwell, per diventare, come in effetti è stato malgrado tutto, la Manchester d’Italia.