L’estate calda dei lanieri del ’61 (clicca qui e scopri il video)
L’estate del 1961 è rimasta. nella storia e nella memoria della comunità biellese come “l’estate calda”, espressione coniata allora per significare la tensione sociale che la caratterizzò. I protagonisti furono gli operai e le operaie tessili del settore laniero, che dopo un silenzio durato anni, rioccuparono le strade e le piazze, esprimendo la loro protesta e ritrovando un senso della coralità, del collettivo, del fare insieme che era sembrato finito. Gli anni ’50 erano stati anni di battaglie perse, di caduta progressiva dell’iniziativa sindacale e di rassegnata passività nella fabbrica. La fabbrica, da luogo di socialità e scambio del dopoguerra, sembrava mutata in luogo di isolamento, quello stesso isolamento che pareva caratterizzare in senso lato la società biellese, scarsamente coinvolta dalla “grande trasformazione” che a partire dal 1959-60 stava investendo il paese. La crescita economica impetuosa e diffusa è trainata dalle grandi imprese e bene rappresentata dall’affermarsi del mito dell’automobile. L’aspirazione, il desiderio, il mito del benessere alla portata di tutti alimenta gli spostamenti sul territorio nazionale di masse crescenti di emigrati da sud a nord, dalla campagna alla città. Tutto è in movimento.
La “grande trasformazione” tocca marginalmente il Biellese: i rapporti sociali e politici restano irrigiditi negli schemi elaborali negli anni ’50. La struttura produttiva, in particolare quella tessile laniera, ha conosciuto marginali mutamenti rispetto alla sua storia e agli altri settori. Scarsa innovazione, forte sfruttamento della manodopera, bassi salari è la formula più ampiamente utilizzata. Nonostante ciò, la congiuntura positiva iniziata nel 1959 determina espansione dell’attività industriale e crescita dei profitti,m ma non dei salari: meno di 35 mila lire al mese è la media di gran parte dei lavoratori lanieri biellesi; le categorie più professionalizzate, come i tessitori, guadagnano di più, ma sono comunque penalizzate dalle basse tariffe di cottimo.
Il clima di fabbrica è caratterizzato da una disciplina rigida, spesso arbitraria, dall’aumento dei carichi di lavoro, dal ricatto del posto. Le relazioni di fabbrica sono dominate dalla paura e dall’autoritarismo.
Per la gran parte delle famiglie biellesi, e soprattutto per i giovani, lo scarto tra le promesse e le lusinghe di una incipiente società dei consumi e la dura realtà quotidiana è vissuto come un’ingiustizia insopportabile.