La "Strada della lana"
- Monumenti e itinerari di archeologia industriale nel Biellese
- La “Strada della lana”
- Il progetto
- Dai monti al piano
- Dall’artigianato all’industria
- I percorsi del lavoro
- Le meccaniche di Pietro Sella
- La forza motrice
- La fabbrica e le sue architetture
- Venti secoli di un paesaggio laniero
- Terra di telai
- Da filatori e tessitori a operai
- Da mercanti a industriali
- Il percorso
In seguito all’avvio del processo di industrializzazione (1816), grandi e severi opifici pluripiano di tipo “manchesteriano” avevano iniziato a sorgere spesso sul luogo di più antichi mulini, cartiere o setifici, riadattati e ampliati nelle loro strutture. L’adozione del modello “manchesteriano”, impiegato nel Biellese con un ritardo di diversi decenni rispetto a quanto si era verificato in Inghilterra, era dettata tuttavia dalle medesime esigenze tecniche e produttive, riassumibili nella distribuzione in verticale dei sistemi di trasmissione dell’energia idraulica e nella necessità di ampi spazi interni indivisi in cui insediare le diverse fasi della produzione: preparazione e pettinatura della lana ai piani inferiori, filatura e tessitura ai piani superiori. Nella fabbrica alta biellese caratteri tipologici ricorrenti – la pianta rettangolare con una larghezza di manica di circa dodici metri, cadenzata internamente da una serie di sostegni di spina; un numero di piani variabile sino ai sei o sette, normalmente attestato sui tre, quattro fuori terra – si accompagnavano all’assenza pressoché totale di qualsiasi ricercatezza figurativa e al ricorso a materiali tipici dell’edilizia rurale locale: pietra, legno, laterizio, solo in un secondo tempo integrati dall’impiego di componenti metallici e dal calcestruzzo armato. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento l’edificio alto iniziò ad essere affiancato da capannoni a più piani verso il torrente, ad ospitare i magazzini e i locali destinati alle caldaie e al deposito del carbone, fiancheggiati dalle ciminiere. In seguito, con l’introduzione dell’energia elettrica, molte industrie si rilocalizzarono in aree di fondovalle o di pianura meglio servite dalle vie di comunicazione, costruendo nuovi stabilimenti a shed, capaci di garantire un’illuminazione uniforme dei grandi saloni di lavorazione e spesso contraddistinti da una maggiore attenzione al trattamento dei prospetti esterni e ai loro caratteri di decoro. (M.L.B.)