La "Strada della lana"
- Monumenti e itinerari di archeologia industriale nel Biellese
- La “Strada della lana”
- Il progetto
- Dai monti al piano
- Dall’artigianato all’industria
- I percorsi del lavoro
- Le meccaniche di Pietro Sella
- La forza motrice
- La fabbrica e le sue architetture
- Venti secoli di un paesaggio laniero
- Terra di telai
- Da filatori e tessitori a operai
- Da mercanti a industriali
- Il percorso
La mancanza di carbon coke, il combustibile fossile utilizzato in Inghilterra a partire dalla fine del Settecento per azionare le macchine a vapore, impose agli imprenditori biellesi di costruire le fabbriche lungo i torrenti, in località spesso impervie e lontane dai centri abitati. Era possibile così sfruttare i salti d’acqua – quelli naturali, oppure quelli artificiali realizzati con rogge e derivazioni – per mettere in moto, tramite grandi ruote idrauliche, alberi motore verticali che grazie ad apposite trasmissioni trasferivano il movimento ad alberi orizzontali disposti a ogni piano, e di qui infine con l’ausilio di pulegge e di cinghie fino alle diverse macchine operatrici. La fabbrica, costruita intorno ai percorsi del movimento, veniva commisurata anche nelle sue dimensioni alla quantità di energia che poteva essere prodotta e trasferita, senza eccessive perdite dovute ad attriti, sino alle “meccaniche”. Nella seconda metà dell’Ottocento, a fronte di una sempre più massiccia meccanizzazione delle diverse fasi di lavorazione, gli industriali biellesi iniziarono a ricorrere, nei momenti di magra dei torrenti, alla forza motrice generata dalla macchina a vapore. Questa forma di energia venne tuttavia utilizzata in funzione ausiliaria: per quanto infatti il costo del carbon coke fosse diminuito, con il miglioramento dei mezzi di trasporto, esso era comunque ancora piuttosto rilevante.
Alle soglie del Novecento l’introduzione dell’energia elettrica consentì di svincolare gli stabilimenti dalla vicinanza ai corsi d’acqua, liberando al tempo stesso il layout della fabbrica da condizionamenti planimetrici rigidi. Se alcuni industriali scelsero di restare nei luoghi d’origine e di convertire all’uso dell’energia elettrica gli impianti esistenti (l’acqua continuava a essere un bene prezioso per lo svolgimento di alcune fasi del ciclo di lavo- razione), altri decisero invece di spostarsi in aree meglio servite da strade e ferrovie, realizzando grandi complessi a sviluppo orizzontale più idonei a garantire stabilità al macchinario e a limitare i danni in caso di incendio. (M.L.B.)