La sassone Chemitz, ex Karl-Marx-Stadt, significa telai meccanici
A Werdau per la filatura, a Limbach-Oberfrohna per la maglieria
I commercianti Leusch, biellesi d’elezione, venivano da Crimmitschau
[da “Eco di Biella” del 7 ottobre 2024]
Ho appena fatto un viaggio in Sassonia. Assolutamente consigliato. Dresda è una città straordinaria, elegante, rinata uguale a se stessa dopo essere morta sotto le bombe. Viaggiare in e per la Sassonia è un’immersione nella Storia, ma anche nella storia del Biellese. Insospettabili quanto profondi rapporti ci legano a quelle terre ondulate e alle genti che le abitano. Piccoli villaggi, cittadine e centri più grandi hanno avuto con Biella e convalli duraturi legami commerciali, tecnici e umani. Basta dire Chemnitz, la terza città sassone, per sentire il battito di infiniti telai meccanici. Chemnitz sta alla tessitura biellese come l’Australia alla lana tessuta nelle nostre valli. La seconda fase dell’industrializzazione nostrana (1870-1900) non avrebbe avuto luogo, o sarebbe stata molto diversa, senza i signori Grossenhainer, Hartmann e, soprattutto, Schönherr di Chemnitz. La città, nata sull’omonimo fiume, che in lingua soraba (l’idioma della non lontana Lusazia) si chiama Kamenica (il “ruscello di pietra”), è risorta come Dresda dopo la devastazione portata dai bombardieri alleati. Ma il suo antico splendore architettonico è scomparso per sempre, così come le sue più datate fabbriche meccano-tessili. Il socialismo della DDR le aveva addirittura cambiato nome (tra il 1953 e il 1990 è stata Karl-Marx-Stadt), ma anche quel capitolo si è chiuso. Ora è una città ampia, ripensata da urbanisti di fama, un po’ anonima, ma vivace. Nel 2025 sarà Capitale europea della Cultura. Nell’ex stabilimento Schönherr (immenso) si può mangiare, fare shopping, andare in palestra, incontrare architetti e avvocati. Più di cento attività diverse animano un luogo riqualificato, rimasto austero, ma molto suggestivo. Il futuro del terziario sotto gli shed e tra le colonnine di ghisa. Una piccola targa ricorda che tra quelle mura, nel 1849, quando su quel tratto di sponda del Chemnitz sorgeva un mulino riadattato a filanda, si rifugiò Richard Wagner con la sorella Clara, in fuga da Dresda dove era ricercato come rivoluzionario. L’orologio sulla torre della fabbrica segna un altro tempo rispetto a quello in cui lavoravano più di mille operai (1600 nel 1914). Dopo vent’anni di attività dell’azienda, nel 1872 fu consegnato il diecimillesimo telaio. Nel 1895 ne erano stati costruiti cinquantamila. Ogni mese duecentocinquanta macchine per tessitura e centinaia per altre lavorazioni uscivano dal portone che tuttora si apre sulla Schönherrstraße e sul parco Schönherr. Chemnitz si legge anche sulla lapide dei benefattori della Scuola Professionale di Biella (si trova nel chiostro di San Sebastiano o, analoga, nell’atrio dell’ITI). Già nel 1858, la ditta Sella di Biella annoverava con orgoglio tra i suoi meccanismi “sette macchine continue per la prima filatura, sistema Götze e C di Chemnitz” (“Eco del Mucrone, 17 giugno 1858), quando August Götze e Richard Hartmann erano soci (Louis Ferdinand Schönherr si era fatto le ossa alle loro dipendenze, prima di mettersi in proprio).
Per capire quanto sia stato fitto il tessuto di relazioni commerciali tra Biella e Chemnitz tra gli ultimi vent’anni dell’Ottocento e i primi trenta del Novecento, basta analizzare l’elenco delle fatture di acquisto di telai meccanici (e altre macchine tessili) depositate presso il Tribunale di Biella in quel periodo. L’elenco è pubblicato sul portale della Rete Archivi Biellese, mentre i documenti originali sono conservati presso l’Archivio di Stato di Biella. La parola Chemnitz ricorre 618 volte, praticamente una volta ogni dieci fascicoli. La parola Schönherr quasi altrettante. Più di cinquanta volte la parola Grossenhainer (Grossenhainer Webstuhl und Maschinenfabrik) sempre di Chemnitz (ma anche a Grossenhain), e più di venti nel caso della casa Hartmann. Più di tutti, il fornitore principale di telai per gli opifici biellesi è stato Louis Ferdinand Schönherr (1817-1911), una sorta di divinità primaria nel pantheon del comparto meccanotessile non solo tedesco, ma europeo e mondiale. Con lui, appena dietro, Anton Zschille della Grossenhainer e Richard Hartmann con la sua azienda. A tutti e tre bisognerebbe intitolare una via in città e, più ancora, avviare le pratiche per un significativo gemellaggio storico con Chemnitz.
Ma i nessi tra Biella e quell’area appartata e ben poco turistica della ex Germania Est si colgono ancora prima di arrivare in Sassonia. Quando i Monti Metalliferi non sono neppure all’orizzonte, una sosta a Regensburg (cioè Ratisbona) rievoca gli Halenke che a Biella, non molto dopo l’Unità d’Italia, presero dimora condotti dal Danubio al Cervo dal loro commercio di lane e non solo. C’è un bel libretto, pubblicato da Anna Bardazza Serralunga, che illustra le vicende di quella famiglia bavarese. Ma non è stata la Baviera la meta del viaggio. Uno sguardo al grande fiume dalle colonne doriche del Walhalla e poi via, verso un altro grande fiume, l’Elba. L’avvicinamento a Dresda vuole una leggera deviazione verso nord. Da Bayreuth, il fecondo buen retiro di Wagner tanto caro ai melomani nazisti, l’accesso al primo circondario sassone, il Vogtland, e alla zona di Chemnitz impone un passaggio per Zwickau, città affascinante, luterana, patria del compositore Robert Schumann e tra le più attive e diversificate (opifici tessili, ma anche chimici, e con fabbriche di porcellane e vetrerie). Una località non nuova per chi si occupa di storia industriale del Biellese. Più ancora lo è Werdau. “Sappiamo che il signor Carlo Poma da Biella è stato or ora licenziato dall’Istituto Superiore di Werdau in Sassonia con diploma molto lusinghiero, avendo ottenuti i pieni voti in tutte le materie di studio. La Höhere Webschule di Werdau prepara i giovani all’arte della lana; quella città è un piccolo centro industriale simile a Biella”. La notizia è apparsa su “L’Eco dell’Industria – Gazzetta Biellese” del 4 maggio 1890 a testimoniare una connessione particolare tra la nostra città e quella sassone. Carlo Poma (classe 1872) era un membro della dinastia di cotonieri zumagliesi che, negli anni Trenta dell’Ottocento si erano installati al Piazzo. Da lì, un ramo aveva avviato il vasto stabilimento di Miagliano. Carlo Poma era della porzione di famiglia che era rimasta al Piazzo, ma si impiegò poi nel cotonificio miaglianese. Ed era salito a Werdau per apprendere non tanto l’arte della tessitura laniera, quanto quella della filatura in generale. A Werdau, infatti, si filava anche il cotone e molte aziende meccano-tessili, note costruttrici di filatoi di pregio, avevano sede lassù. Una tra tutte, la C.E. Schwalbe, i cui cataloghi arrivavano a Biella costantemente.
Un po’ più a nord, verso Lipsia e Berlino, ecco Crimmitschau. Quella cittadina, tranquilla, ma non molto attrattiva, era un tempo fitta di opifici tessili e di officine. Alcune aziende biellesi acquistarono apparecchi per l’apprettatura dalla Kettling & Braun, altre si affidarono alla Paul Trützschler & Gey per macchine da cardatura o preparazione, altre ancora vollero sperimentare i meccanismi per l’incollatura degli orditi prodotti dalla Paul Klug, che faceva pubblicare inserzioni sui giornali nostrani alla fine dell’Ottocento. Infine (ma ce ne sarebbero anche altre), la ditta Friedrich Carl Stephan, “fabbricante di apparecchi misuratori e dei relativi nastri da introdurre nella doppia piega della pezza”, rappresentata per il Biellese da Raimondo Buratti (inizio Novecento). E dai dintorni di Crimmitschau, ovvero da Glachau, venivano i Leusch. Julius Leusch si era fatto conoscere dagli imprenditori biellesi come rappresentante della casa Moritz Schulze (garzatrice speciale decorativa), pure di Crimmitschau, così come Adolf Leusch aveva acquisito una buona clientela come intermediario commerciale. Poi c’era Alfred Leusch, un altro appartenente a quella schiatta sassone divenuto biellese a tutti gli effetti. Alfred Leusch morirà ottantaquattrenne negli USA, nel 1952. Ma a cavallo tra i due secoli fu un personaggio assai noto in città, impegnato in varie iniziative benefiche e culturali. Era socio del CAI di Biella e con lui, almeno nel 1890, c’era Theodor Eichler, un avvocato di Lipsia del quale non si hanno notizie ma che ingrossa il novero dei sassoni biellesi. Puntando verso est, a non più di qualche chilometro da Chemnitz, vale giusto una sosta la ridente Limbach-Oberfrohna. Niente di speciale, in realtà, ma il centro abitato è lindo, ordinato e non troppo sovietico. La sosta è un omaggio al passato glorioso di piccola capitale della calzetteria e della maglieria. Anche i magliai biellesi si rivolgevano a Limbach-Oberfrohna per avere macchine efficienti.
Il viaggio è proseguito per raggiungere Dresda, ma anche oltre, verso il confine con la Boemia (risalendo l’Elba all’altezza di Pirna e poi piegando a oriente si arriva a Stolpen, il villaggio dove è nata la Saxon-Merino, che qui chiamano Merinoschaf, la razza di pecore dal vello migliore al mondo, ma questa è un’altra storia) e verso la Polonia, fino a Zittau, nel circondario di Görlitz. Paesaggio agreste niente male, ma la cittadina di per sé si riassume nel palazzo del municipio e nella fontana della Samaritana (1679) sulla piazza principale. Tuttavia, anche Zittau ha qualche piccolo tesoro. È famosa per i due teli quaresimali antichi (1472 e 1573) conservati nella chiesa di San Giovanni e, in secoli remoti, per i tessuti damascati prodotti da tessitori locali. In un periodo ben più recente, invece, la Zittau Maschinenfabrik und Eisengiesserei AG (nata nel novembre del 1872) costruiva macchine per il lavaggio e l’asciugatura delle pezze. Un catalogo della ditta sassone degli anni Trenta si trova alla Fabbrica della Ruota, tra le carte della cessata Officina Vergnasco di Chiavazza. A ben guardare, la Sassonia non è poi così lontana.
Danilo Craveia