Dal catalogo della mostra Tessere la vita, Castello Reale di Moncalieri 16 ottobre – 27 dicembre 2009
Tutte le operazioni connesse con la fabbricazione del tessuto – dalla filatura all’orditura alla tessitura – nell’alto Medioevo si svolgevano in ambito domestico, usando diversi tipi di telai ereditati dall’età precedente (verticali e orizzontali). La tessitura domestica in molti luoghi rimase a lungo un’attività produttiva anche nel corso del basso Medioevo, quando si erano ormai andate affermando aziende artigianali tessili.
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Diverso appare invece il caso della produzione tessile su larga scala, diffusa in molte grandi città maggiori d’Italia e all’estero, dove ciascuna fase della lavorazione era affidata a botteghe di artigiani dotati di competenze diverse e la cui attrezzatura poteva andare da strumenti molto semplici, come i pettini per cardare la lana o le forbici per cimare i tessuti, fino a macchinari più complessi, come gli stessi telai o gli orditoi. Gli impianti fissi – come le vasche per la tintura, gualchiere e mulini per la follatura – richiedevano invece un notevole investimento e di solito appartenevano a ricche famiglie di imprenditori o all’Arte della lana che controllava l’intero processo manifatturiero.
Nell’Europa nord occidentale il settore tessile appare già sviluppato nei secoli XI-XII; presso le città fiamminghe fiorisce infatti la produzione di panni commercializzati in tutto l’Occidente attraverso le fiere: i panni di Ypres, per esempio appaiono diffusi fin sul mercato russo. Nel corso del Duecento proprio nelle Fiandre ebbe inizio la diffusione di nuove tecniche di tessitura, che consentivano la produzione di pezze regolari e di nuovi tipi di tessuti grazie all’introduzione di telai più perfezionati. Alla fine di quel secolo anche in Italia il tessile costituirà l’attività artistica artigianale più praticata e redditizia […].
I processi di lavorazione della lana erano molto complessi e investivano competenze di più settori, ciascuno dei quali operava separatamente secondo il sistema della bottega per così dire “specializzata” nelle singole fasi a seconda anche dell’attrezzatura particolare posseduta dall’artigiano. Si partiva dall’importazione della materia prima – in prevalenza la lana inglese, la più pregiata – per passare poi alla preparazione del filato, proseguendo con la tessitura e la follatura, per finire con la cimatura e la rifinitura del prodotto; la tintura poteva invece avvenire in qualsiasi fase della lavorazione, in quanto era possibile tingere di volta in volta il fiocco, il filo o il tessuto. Il prodotto finito era così pronto per essere commercializzato; si doveva a quel punto trovare chi provvedeva allo stoccaggio, al trasporto e alla distribuzione. Una produzione così segmentata ha portato gli studiosi a definire come “fabbrica disseminata” l’intero processo artigianale della lana; un sistema di filiera questo che necessitava di un saldo coordinamento, fornito da un imprenditore che organizzasse il lavoro fra le diverse aziende che detenevano gli impianti e che si occupasse poi della distribuzione. Ciascuna fase della lavorazione era svolta da artigiani consociati in associazioni professionali chiamate Arti (o corporazioni), ma furono i mercanti ad assumere e a finanziare l’impresa complessiva, in quanto fornivano la materia prima e immettevano sul mercato il prodotto finito. […]
Nel clima di forte ripresa economica delle città italiane fra i secoli XII e XIII […] sorsero e prosperarono movimenti religiosi cosiddetti “mendicanti” che predicavano il ritorno alla purezza originaria della Chiesa […] molti predicatori esercitavano l’attività di tessitori itineranti. […] fra gli addetti dell’attività tessile in Lombardia si era andato organizzando il movimento degli Umiliati che raccoglieva religiosi e laici che vivevano e lavoravano in comune, praticando forme di povertà volontaria. […] Gli Umiliati fondarono manifatture tessili sotto il controllo dell’Ordine che in alcuni casi […] entrarono in conflitto con la corporazione dei Lanaioli […].
Fra il XII e XIII secolo si erano introdotte in Europa materie prime di provenienza orientale, il cotone e la seta, usate per la fabbricazione di nuovi tipi di stoffe – alternative ai panni di lana – che nel corso del basso Medioevo avrebbero avuto notevole diffusione, sebbene in ambiti molto diversi dal consumo. Il cotone, importato a partire dal secolo XII dal Levante, dalle Puglie e dalla Sicilia, giungeva in Lombardia attraverso i porti di Genova e di Venezia e veniva avviato alle manifatture in prevalenza per la produzione del fustagno, un tessuto pesante misto di lino o di canapa. Si pensa che la diffusione delle tecniche di lavorazione del fustagno sia da mettere in relazione con i contatti con il mondo islamico arrivati dalle crociate; certamente la nuova produzione nel Duecento fu incoraggiata dalle amministrazioni comunali che favorivano l’insediamento di artigiani specializzati nelle loro città […]. Per l’alta competitività commerciale, il fustagno ottenne subito un vasto successo, venendo esportato su tutti i mercati europei.
La seta […] fu sempre considerata un prodotto di lusso, importato dall’impero bizantino o dalla Cina, paese di origine del baco da seta. A partire dall’Italia meridionale, la bachicoltura tuttavia cominciò a diffondersi anche in Toscana e in Emilia nel corso del secolo XIII e si affermò nell’Italia del nord solo nel XV secolo, quando tuttavia gran parte della materia prima dei setifici continuava a provenire dall’importazione.
Renato Bordone