Fabbriche e fabbricati
- Fabbriche e fabbricati
- La schedatura degli opifici storici
- I villaggi operai biellesi
- Ciminiere
- Ciminiere e ciminiere… il Biellese
- Edilizia industriale
- Il Lanificio Maurizio Sella
- Le Pettinature Rivetti
- La sede dell’Unione Industriale Biellese
- L'”Albergo di virtù” del Santuario di Oropa lungo le rive del Cervo
- Ospizio di Carità di Biella: fabbrica di calzetti
- Pettinatura Italiana Limited
- Occhieppo Superiore e i suoi folloni
- Montagna e fabbriche: dialettica e simbiosi
- Schemi insediativi del rapporto tra fabbrica e paesaggio
« Biella tra ‘l monte e il verdeggiar de’ piani
lieta guardante l’ubere convalle,
ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti
camini ostenta »
lieta guardante l’ubere convalle,
ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti
camini ostenta »
Carducci, Piemonte, Rime e versi
Si ringrazia Claudio Oddone
Carducci sceglie per descrivere il territorio biellese le caratteristiche più evidenti ancora oggi, ossia i monti che dominano il paesaggio con i propri pascoli e l’industria. L’indicazione dei camini fumanti, però, non è una semplice scelta poetica, una metonimia fortunata, ma una delle caratteristiche più evidenti del territorio di fine Ottocento. Dalla metà del XIX secolo fino agli anni della Seconda Guerra Mondiale, infatti, furono costruite centinaia di ciminiere, rese successivamente superflue dalle nuove tecniche produttive, dall’avvento del tiraggio forzato e dall’introduzione di nuovi materiali quali il cemento armato e l’acciaio.
Ad oggi sono rimaste un’ottantina di ciminiere ancora in piedi, alcune complete e altre accorciate negli scorsi decenni, mentre molte sono state abbattute per inutilizzo, pericolo di crolli e per fare spazio a nuove costruzioni (famosa la polemica sull’abbattimento della ciminiera di fornace dell’Oremo, demolita nel 1974 per fare posto a Città Studi).
La storia delle ciminiere parte dall’Inghilterra vittoriana con camini ispirati a campanili gotici e del rinascimento italiano, per poi trasferirsi sul continente colonizzando le zone industriali con i loro profili svettanti nel momento in cui fu abbandonata la forza motrice dell’acqua in favore del carbone e, quindi, la produzione industriale, laniera nel caso biellese, fu spostata dalle alte costruzioni manchesteriane che possiamo oggi vedere lungo la Strada della Lana, alle fabbriche con struttura a sheds [1] a fianco delle quali si elevavano le ciminiere, tanto che ancora oggi nei cartelli stradali l’indicazione delle zone industriali ha come simbolo queste architetture. “Il loro graduale infittirsi rappresenta concretamente, per quell’epoca, il passaggio ormai irreversibile dall’orizzontalità della forza idraulica alla verticalità del vapore.” [2]
L’edificazione di queste torri si evolse velocemente tanto che “Verso la fine dell’Ottocento si assiste anche a virtuosismi costruttivi nella realizzazione delle ciminiere, soprattutto grazie ai perfezionamenti acquisisti dall’industria di laterizi e leganti, e al costituirsi di salde basi scientifiche per il progetto strutturale. […] In Piemonte, tale condizione è ravvisabile in alcuni esempi impostati costruttivamente secondo le singolari caratteristiche dell’ossatura laterizia di scuola antonelliana. Ne è significativa testimonianza in camino a doppia canna dell’Ospizio di Carità dei Poveri Vecchi a Torino, costruito nel 1887 da Crescentino Caselli, discepolo di Antonelli […]” [3] .
Originariamente i camini erano a pianta quadrata o rettangolare, perché con tali forme si potevano utilizzare mattoni comuni. Successivamente, però, la sezione della canna, dopo alcuni esperimenti poligonali (generalmente ottagonali), si attestò sulla forma circolare per motivi statico-tecnici. Le torri circolari, infatti, da un lato opponevano meno resistenza al vento di quelle quadrangolari o poligonali, garantendo minori sollecitazioni, dall’altro eliminavano gli angoli morti interni alla canna che causavano perdite di calore e turbolenze nel moto dei fumi, penalizzando il tiraggio.
“Le prime ciminiere erano realizzate ad una canna di sezione decrescente verso la sommità […] Il progressivo aumento dell’altezza […] portò ad affrontare il problema della stabilità al vento connesso all’impiego di un materiale, la muratura, non in grado di resistere a trazione […] Si affermò così, accanto alla classica parete piena, la struttura a doppia canna[…]
Tutte le ciminiere sono impostate su un solido zoccolo di base, in muratura di laterizio, generalmente a pianta poligonale o quadrata talora in pietra e in qualche raro esempio in calcestruzzo cementizio armato[…]” [4] . Nel biellese ci furono solo due ditte costruttrici di ciminiere, l’impresa Lanza Giovanni & Figli di Crocemosso e l’impresa Sola Rinaldo di Cossato, a causa delle difficoltà costruttiva di queste alte strutture e alla necessità di utilizzare mattoni radiali fabbricati appositamente per seguire il restringimento della canna fumaria.
Con il passare degli anni le ciminiere divennero sempre più simboli della stessa fabbrica, tanto che, come ben mostrato dalla mostra organizzata dal DocBi nel 1995 Fabbriche formato cartolina, nelle immagini ricordo dei principali centri industriali i camini erano sempre fumanti (come diceva Carducci) e, qualora non fosse ben visibile, il fumo era disegnato a mano sulla fotografia. In quanto elemento simbolico si iniziò a porre attenzione anche all’estetica delle ciminiere, con decorazioni delle sommità ispirate alle colonne antiche e, successivamente, “un notevole contributo all’estetica delle ciminiere venne fornito dal Liberty, la cui linearità ispirata al mondo vegetale, ai giunchi ed agli equiseti in particolare, ben si prestava ad assecondare gli slanci verticali dei camini” [5] . Tali decorazioni avevano anche la funzione di eliminare le turbolenze che si creavano intorno alla bocca del camino, ma il valore estetico andava ad aumentare il prestigio e la ricchezza della ditta stessa.
Era possibile che già poco tempo dopo la costruzione si presentassero problemi di integrità strutturale delle canne fumarie, uscita dall’asse verticale della sommità, ecc…“Gli interventi di riparazione variavano, in relazione all’entità del danneggiamento, dal risarcimento locale delle malte o della muratura (cuci-scuci) all’inserimento di elementi di rinforzo (cerchiature metalliche della canna), al raddrizzamento della canna, al parziale abbassamento, compatibile con la funzionalità della ciminiera, fino alla ricostruzione delle parti danneggiate, a seguito di eventi bellici o naturali come fulmini, uragani o sismi” [6] . Furono Biellesi, valsesiani e bergamaschi la maggior parte di quei muratori che si specializzarono nel raddrizzamento e nella cerchiatura della ciminiere. [7]
Già nel 1969 Renzo Sola, figlio del costruttore di ciminiere Rinaldo Sola diceva: “Purtroppo per le ciminiere è il canto del cigno. Il geometra Renzo Sola, che cortesemente ci ha fornito questi dati, aggiunge: « Un simpatico redattore di Eco di Biella ha scritto più volte sul giornale propugnando la necessità di salvaguardare le ciminiere rimaste, simbolo della operosità della nostra gente e parte integrante del paesaggio biellese. Purtroppo è una impresa assai ardua: questione di qualche decennio eppoi i “fumanti camini” di carducciana memoria spariranno dal nostro paesaggio. Poiché, e forse il capo redattore non lo sa, una ciminiera può durare moltissimo se è in esercizio: quando cioè i fumi uscenti a 150 gradi la mantengono sana e asciutta. Deperisce in pochi anni se inattiva, perché si imbibisce di acqua e rimane esposta al gelo che la disgrega; è troppo esile e sottile per resistere a lungo, se inattiva. Allora bisogna abbassarle, rimangono tozze e mutilate, e perdono in snellezza e bellezza»” [8] . Negli ultimi anni molte azioni sono state fatte per preservare quello che è un patrimonio unico e ricchissimo della storia e dell’archeologia industriale biellese perché ci si è resi conto di come “le ciminiere si pongono come elementi attivi del paesaggio” [9] e “sole parti emergenti al di sopra dell’orizzonte dei tetti, quasi a disegnare una città più elevata e rarefatta, questi edifici di eccezionale altezza rappresentano i sedimenti che Cristianesimo, Età Comunale ed Età Industriale hanno lasciato nei cieli del cosiddetto Mondo Occidentale lungo intervalli di secoli. A ragion veduta possiamo pertanto convenire che, allo stesso modo del sottosuolo, anche il cielo custodisce con i suoi reperti archeologici, altrettanto inaccessibili quanto quelli sepolti, altrettanto sorprendenti quanto, spesso, ignorati” [10] .
Consci dell’importanza che ha l’archeologia industriale nel territorio biellese si è deciso di andare ad aggiornare il censimento delle ciminiere esistenti effettuate da Claudio Oddone per conto del DocBi nel 1998, in occasione della mostra Le fabbriche e la foresta, e mettere a disposizione dei turisti una mappa con la localizzazione delle ciminiere per creare dei percorsi storico-industriali nel territorio biellese (attualmente in lavorazione).
[1] Copertura a shed (o a denti di sega), tipo di copertura usato per capannoni industriali, con il quale si riesce a ottenere un’illuminazione diurna molto uniforme: è costituito da un certo numero di falde piane che si sussegue in due ordini (il primo dei quali a falde piene, cioè coperte con elementi di solaio in laterizio o in cemento armato, l’altro a falde quasi interamente vetrate), diversamente inclinate rispetto alla orizzontale.
[2] Vito Lupo, Dall’inferno al cielo. Le ciminiere nel profilo di una città industriale, numero speciale dedicato alla mostra fotografica, p. 16, Informa n. 3, Azienda Energetica Municipale, Torino 1993.
[3] Giuseppe Pistone, Gianni Riva, Le vecchie ciminiere in opera laterizia, in Costruire in laterizio, gen-feb 2001, Anno XIV.
[4] Ibidem.
[5] Pozzi del cielo: la terra, il fuoco dal mattone alle biglie, Mostra a cura di Giancarlo Perempruner e Vito Lupo.
[6] Giuseppe Pistone, Gianni Riva, Le vecchie ciminiere in opera laterizia, in Costruire in laterizio, gen-feb 2001, Anno XIV.
[7] Vito Lupo, manoscritto datato Terrassa 8 maggio 1997.
[8] Ezio Menotti, da Eco di Biella, lunedì 6 gennaio 1969.
[9] Pozzi del cielo: la terra, il fuoco dal mattone alle biglie, Mostra a cura di Giancarlo Perempruner e Vito Lupo.
[10] Vito Lupo, La ciminiera come tema archeologico-industriale, pp. 18-19, A.N. n°10/1988, rivista edita dal Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Novara.