Fabbriche e fabbricati
- Fabbriche e fabbricati
- La schedatura degli opifici storici
- I villaggi operai biellesi
- Ciminiere
- Ciminiere e ciminiere… il Biellese
- Edilizia industriale
- Il Lanificio Maurizio Sella
- Le Pettinature Rivetti
- La sede dell’Unione Industriale Biellese
- L'”Albergo di virtù” del Santuario di Oropa lungo le rive del Cervo
- Ospizio di Carità di Biella: fabbrica di calzetti
- Pettinatura Italiana Limited
- Occhieppo Superiore e i suoi folloni
- Montagna e fabbriche: dialettica e simbiosi
- Schemi insediativi del rapporto tra fabbrica e paesaggio
“Nel Biellese, di fabbriche ve ne ha veramente dovizia. Sono una folla interminabile, rumorosa, che ora ci appare raccolta in breve spazio, ora disseminata in lunghe teorie, fuggenti a perdita d’occhio, secondo che il luogo è un ristretto pianoro, o il fondo vario e serpeggiante di un’amena vallata“. Così la “Illustrazione Italiana” del 1919 inizia la descrizione della “Manchester d’Italia”.
Le prove più evidenti dell’attività tessile nel biellese sono certamente gli edifici industriali, veri e propri monumenti all’industriosità biellese. Il nostro territorio è ricco di testimonianze archeologiche, dalle palafitte a Viverone, alle fondamenta medievali della chiesa di Castelletto Cervo, dalle miniere della Valsessera alle numerose e spettacolari fabbriche ottocentesche lambite dalle impetuose acque dei numerosi torrenti.
Biella e il biellese sono ricchissimi di queste ultime testimonianze, categorizzabili come archeologia industriale, poichè, anche se non c’è bisogno di scavare per ritrovare questi preziosi reperti, esse costodiscono la memoria architettonica, tecnica, ingegneristica e urbanistica di generazioni di biellesi. Si parte dalle attività pre- e protoindustriali delle miniere della Valsessera e si arriva alle moderne industrie laniere di fama internazionale, che hanno fatto del made in Biella un marchio di qualità, passando per il filatoio di seta aperto sul finire del Seicento dalla Congregazione del Santuario d’Oropa e per la celeberrima Fabbrica della Ruota, luogo simbolo dell’archeologia industriale biellese.
L’edilizia industriale è il settore dell’edilizia che comprende la progettazione e la costruzione degli edifici destinati all’industria. Tali edifici richiedono normalmente appropriate soluzioni costruttive, rispondenti a esigenze e caratteristiche particolari. Speciali problemi tipologici e distributivi sono poi connessi con i processi di lavorazione. I tipi originari e più frequenti di questi edifici si possono ridurre a tre: tettoie, a più navate, solitamente coperte con tetti a falde; capannoni, a un solo piano, molto estesi planimetricamente, spesso riuniti in modo da formare un unico ambiente a pilastri, illuminati dall’alto per mezzo di coperture a ‘denti di sega’ (shed) o da lucernari; edifici a più piani, spesso con strutture in vista e illuminati da grandi vetrate (manchesteriani). La collocazione degli opifici rispetto ai collegamenti stradali e ai corsi d’acqua ha spesso determinato scelte architettonico-strutturali particolari e fortemente orientate alla funzionalità.
Lo sviluppo della produzione industriale ha inevitabilmente condotto alla formazione di nuovi tipi di strutture architettoniche, adeguati alle necessità degli impianti e dei processi meccanici, determinando la graduale trasformazione dell’opificio da semplice ‘luogo’ di lavoro a complessa e funzionale macchina produttiva. Emerse di conseguenza la necessità di distribuire gli spazi e di sviluppare le strutture secondo una precisa funzione, sfruttando tutte le possibilità dei nuovi materiali e delle nuove tecniche al fine di ottenere piena unità di forma e funzione. Gli edifici industriali, concepiti in funzione di un uso temporaneo e di specifiche tecnologie, hanno durata conforme alla funzionalità dell’impiego e vanno incontro ad un’obsolescenza assai maggiore dell’edilizia civile e dell’architettura tradizionale.
Pur tendendo a un alto grado di funzionalità, l’edilizia industriale fu stimolata a raggiungere qualità formali e standard igienico-ambientali per le maestranze e per l’ambiente circostante, confrontandosi con i fermenti innovativi dell’architettura. Negli anni prese corpo anche l’assunto che la fabbrica non doveva soltanto essere un perfetto strumento di lavoro ma avrebbe dovuto rappresentare il fulcro di una complessa funzione sociale, tanto da prevedere, oltre al nucleo produttivo con annessi uffici, anche un quartiere abitativo con i relativi servizi (come ad esempio il Villaggio filatura a Tollegno).
“Secondo stime attendibili, ogni anno solo in Italia vengono smantellati mediamente 150.000 m3 di vecchi edifici industriali e vengono rottamate circa 300.000 t di macchinari e attrezzature” (fonte www.treccani.it ). Gli archivi e i disegni vengono generalmente distrutti entro i cinque anni previsti dalla legge e quasi sempre senza effettuare neppure una cernita del materiale più interessante. Naturalmente è inevitabile che la maggior parte di questi edifici, carte e macchinari obsoleti venga distrutta, considerando che a renderlo necessario è la fisiologia stessa dello sviluppo industriale. C’è però una parte di tutto questo che va considerata bene culturale, secondo la concezione introdotta in anni recenti anche nel nostro paese, e appunto come tale studiata, conservata e valorizzata. Estendere il concetto di bene culturale anche a quelli industriali è stato di grande rilevanza in un paese come il nostro dove l’antinomia tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica, superata solo molto di recente e non del tutto, ha trovato un riflesso nell’emanazione di leggi e disposizioni per conservare e valorizzare i beni artistici intellettuali ma non quelli industriali, senza considerare che, per una sorta di metabolismo insito nell’accelerazione e nello sviluppo esponenziale del processo produttivo, la rivoluzione industriale trasforma e abbandona gli strumenti, le strutture e le aziende che via via si rendono obsolete, distruggendo in tale modo le testimonianze stesse delle sue origini e della sua storia. Tuttavia, il crescente sviluppo della tecnologia e della scienza ha fatto finalmente comprendere che cultura è anche quella industriale e che la fabbrica e i luoghi di produzione di ogni tipo sono contenitori di scienza, di tecnologia, di capacità imprenditoriale, di competenze intellettuali e di lavoro, dove l’umanità opera un immenso sforzo che macina e trasforma la vita e la società dell’uomo.