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L’antico Ospizio di Carità di Biella, sede attuale della Provincia di Biella, è un imponente edificio situato nel rione di Biella del Vernato, la cui storia attraversa più di tre secoli e racchiude un’innumerevole quantità di testimonianze, che spaziano dalle trasformazioni architettoniche subite dal complesso edilizio ai vissuti delle persone che attorno ad esso hanno orbitato: giovani convittori e convittrici, religiosi, personaggi illustri della città che si prodigarono per la sopravvivenza dell’ente.
Le origini dell’Ospizio sono antiche e risalgono alla volontà riorganizzativa dello Stato sabaudo inaugurata da Vittorio Amedeo II nel corso del Settecento. Nel 1716 il sovrano aveva infatti promulgato un editto contro l’accattonaggio, seguito un anno più tardi da un nuovo proclama che disponeva la creazione delle Congregazioni e di Ospizi di Carità in tutte le città «grandi e piccole». Le finalità di queste istituzioni erano molteplici, sia etiche che sociali; in primo luogo, si proponevano di porre un freno al fenomeno della mendicità tentando di prevenire il diffondersi di malattie ed epidemie e arginando una potenziale minaccia all’ordine pubblico. Allo stesso tempo, l’editto mirava a ridurre il ruolo assistenziale di clero e nobiltà, rivendicando la centralità dello Stato nella gestione dei problemi sociali[1]. Nel quadro di queste indicazioni, anche a Biella si procedeva alla fondazione di una Congregazione di Carità il 2 agosto 1718, accogliendo con tempestività l’invito all’azione arrivato da Torino e portato da alcuni padri gesuiti su incarico dalla corona. La costituzione dell’Ospizio fu però un processo lungo, che tra vicende alterne richiese circa un trentennio prima di approdare a una situazione di stabilità, con l’impianto della sede definitiva al Vernato[2]. Risale al 1721 l’apertura ufficiale nella sede provvisoria sita ai piedi della Costa d’Andorno, quando furono accolti i primi poveri: tre uomini anziani, sette ragazzi e due fanciulle. Successivamente l’Ospizio fu più volte ampliato e trasferito in diverse sedi. Nel 1744 venne acquistato per lire 4000 dal Marchese Ferrero della Marmora uno spazioso edificio al Vernato, che diverrà la sede definitiva dell’Ospizio nel 1746.
Per quanto riguarda i ricoverati, nel 1740 fu sospesa l’ammissione delle “figlie“, che poterono trovare nuovamente ricovero all’Ospizio solo dal 1775.
Tra i principali problemi riscontrati fin dalle origini, vi fu quello di offrire ai ricoverati, un’occupazione, ancor meglio se funzionale ad ammortizzare i costi dell’Opera pia. Per tale motivo quindi, la direzione della Congregazione aveva incentivato fin dal 1740 l’impianto di un lanificio e di diverse botteghe all’interno dell’Ospizio. All’interno di questo fermento e della ricerca di nuove attività che potessero risollevare lo stato critico delle finanze dell’ente, nel 1789 giunse la proposta di Luigi Berard, fabbricante francese di Romans, di impiantarvi una fabbrica di calze e berretti di lana.
La manifattura di calze e berretti di Luigi Berard
Alla fine del Settecento l’Ospizio di Carità versava in condizioni economiche precarie, mentre la Congregazione deputata alla sua gestione attraversava un periodo turbolento, fatto di liti e pendenze che assorbivano totalmente le sue energie. Dal punto di vista operativo, nonostante tutto, le attività svolte nei locali del Vernato erano in crescita; alla bottega del calzolaio si erano aggiunte quella di un falegname e quella di un sarto, ed entrambi i mastri si erano impegnati a insegnare il mestiere a un numero di ricoverati stabilito dalla Congregazione. Per quanto riguarda le figlie invece, continuavano come in passato a essere occupate in qualità di «serve» presso diverse famiglie della città; per prassi era loro accordato ritornare all’Ospizio entro due mesi «qualora i cittadini che le richiedono non le trovino proprie al servizio o le figlie stesse non abbiano motivo di rimanervi»[3]. Il lanificio interno invece, istituito negli anni Quaranta del Settecento, era stato definitivamente convertito nel 1772 in cotonificio, sotto l’esperta direzione del mastro Bernardino Machetto al quale l’Ospizio procurava cotone greggio che veniva lavorato dai ragazzi e poi filato e rivenduto per conto della Congregazione[4]. L’attività di filatura del cotone, tuttavia non garantiva un rendimento economico ragguardevole ed era soggetta a troppe interruzioni per assicurare un’occupazione regolare e continuativa dei ricoverati. La Congregazione riteneva quindi necessario trovare nuovi canali occupazionali. L’arrivo in città di Luigi Berard, originario di Romans, nella Francia meridionale, con la proposta di installare nei locali dell’Ospizio una fabbrica di calze e berretti di lana capace di «dar travaglio a due mila persone», non poteva che essere attentamente valutata dalla direzione dell’Opera pia, che dopo alcune prove dall’esito soddisfacente deliberò l’impianto della nuova manifattura (Ord. 1° luglio 1789): impianto debitamente approvato con R. Viglietto[5] II agosto 1789. A sovraintendere l’opera furono nominati come assistenti e provveditori due amministratori dell’Ospizio: il conte Niccolò Avogadro di Valdengo e il Can. Giuseppe Teccio (Ord. 24 agosto 1789)[6]. A Luigi Berard direttore e socio era pagato uno stipendio di 600 lire annue, a Giuseppe Apostolo, prezioso collaboratore della nuova fabbrica, erano invece corrisposte 425 lire annue e infine al tesoriere Gio. Antonio Garella 75 lire annue[7].
Come primo passo per l’installazione della fabbrica era fondamentale reperire i fondi necessari, che ammontavano a diverse migliaia di lire, per l’adattamento dei locali alla produzione e per l’acquisto delle attrezzature e delle materie prime. Per sopperire a questo bisogno di denaro, la Congregazione decise di richiedere la restituzione di alcuni prestiti concessi nel 1783. In quell’anno, infatti, l’Opera pia era riuscita ad ottenere la riscossione di circa 70 mila lire dovute dal Cav. Miglio alle casse dell’amministrazione. Trovandosi nella situazione di mettere a frutto la somma raccolta, si era deciso «il provvisionale collocamento delle 40 mila lire presso li proprietari delli lanifici, manifatture e fabbriche» della città in possesso di sufficienti garanzie per la solvenza del prestito e dei relativi interessi[8]. A seguito del bando indetto dalla Congregazione, i fondi erano stati quindi destinati a Francesco Piacenza di Pollone (15.000 lire) e Giovanni Bullio di Occhieppo Superiore (25.000 lire). Ora gli amministratori dell’Ospizio richiedevano la restituzione di tali prestiti con gli interessi maturati e, infatti, alla voce Esenzione de capitali destinati per detta manifattura de calzetti del libro dei Conti, tra le principali voci a bilancio risaltano per l’appunto i versamenti di Bullio (che figura anche tra i futuri soci) e Piacenza che andarono a costituire buona parte dei capitali raccolti; la cifra raccolta, unitamente ai crediti minori riscossi dal Santuario di Oropa a altri debitori, ammontava a un totale di 54.868 lire[9].
Una volta raccolto il denaro fu quindi possibile procedere alla messa in operatività della fabbrica. A tal scopo furono affittati un follone e la casa del “martinetto” (fucina), posti fuori da Porta Rossigliasco a Biella[10], di proprietà della città e l’abitazione di un privato, casa Piana, per adattarla a manifattura di calzetti. L’adattamento dei locali alla lavorazione della lana, affidato al mastro Pietro Mosca, sommato alle spese per il «fitto», ammontò per il primo anno a circa 1.500 lire. Altri costi furono sostenuti per attrezzature, strumentazioni (bilance, caldaie, forbici) e mobili (stagere, scrivanie), ma il costo maggiore fu quello relativo all’acquisto delle lane. Con una convenzione tra l’Ospizio e Berard, fu stabilito un aumento del capitale d’investimento da 40 mila lire, a 65 mila lire, essendosi presentata l’opportunità di raddoppiare la provvista di lane dalla Francia, per approfittare di prezzi vantaggiosi. A Berard era affidato l’incarico dell’acquisto ed era riservata una partecipazione sugli utili. La provenienza delle lane era principalmente francese e, infatti, a libro mastro, compaiono tra i principali fornitori Gio. Battista Matel di Marsiglia e il Sig. Berson di Nimes. Durante il primo anno di attività furono investite nella compera e nel trasporto della lana circa 14 mila lire, seguite l’anno successivo da una spesa di circa 26 mila lire[11].
A metà anno dall’inizio della lavorazione dei calzetti, attività nuova per il Biellese, la fabbrica appariva ben avviata e rilevante per utili e manodopera impiegata. Sfortunatamente però, sul finire del 1790, veniva a mancare il principale attore di questo progetto, Luigi Berard, che moriva lasciando la moglie Maria e cinque figli[12]. Nonostante il grave colpo, la Congregazione, visti gli ottimi risultati della fabbrica, deliberò di continuare l’attività con la vedova Berard, alla quale furono attribuite importanti funzioni direttive, ad esempio, la gestione delle paghe degli operai e a lei affidata fino al 1797. A garanzia della vedova, affiancata dal fondamentale lavoro del commesso Apostolo, si propose il padre, stimato notaio di Falquet di Rivoire (Savoia)[13].
Il primo inventario della manifattura, nel gennaio 1791, mostrava cifre incoraggianti: un prodotto di 33.743 lire, una spesa di 31.496 e un utile di 2.246, oltre all’interesse del 3,5% pagato all’Ospizio.
A conti fatti, il beneficio ottenuto dall’Ospizio in poco più di un semestre corrispose al 9% del capitale iniziale di 40 mila lire investito per la fabbrica, senza tener conto del vantaggio recato a un gran numero di poveri, sia ricoverati sia non, ai quali si è procurato il lavoro. Da quanto riportato sul libro dei Conti, il costo della manodopera si aggirava sulle 0,75 lire a giornata, per un totale di 10 mila lire per il primo anno, aumentando a 12 mila nel 1791, per poi iniziare a diminuire di circa la metà negli anni successivi fino allo smantellamento della fabbrica.
La produzione dei calzetti
Passando ora alla produzione, all’interno della manifattura erano prodotte tre principali tipologie di calzetti: da uomo (prezzo: 28 lire a dozzina), da cadetto (25 lire a dozzina) e da donna (22 lire a dozzina)[14].
Il tessuto utilizzato era variabile e spaziava dalla semplice lana, al cotone, alla più pregiata lana di Roma, impiegata per produrre le «calze di Romenzo», particolarmente ricercate a Torino. Difatti, tra i principali clienti della fabbrica, spiccano compratori e negozianti torinesi, come Giò Francesco Moris, Pietro Rignon & Compagnia. Moris e la famiglia Rignon compaiono addirittura tra i ventuno negozianti, scelti come firmatari di un importante decreto in materia di cambiali, emanato durante il dominio francese dal Governo provvisorio piemontese[15]. Le calze erano esportate anche oltralpe, in particolare da Berard Prat e Compagnia, e allo stesso tempo vendute nel Biellese, seppur in quantità minori, a diversi compratori come Gio. Antonio Cerruti, i fratelli Antonio e Giuseppe Vaglio, Gio. Francesco Fiorina. La vendita in città di calzetti al dettaglio era affidata principalmente alla vedova Berard.
L’attività, dunque, si rivelò particolarmente fervente fin dai suoi inizi; nel biennio 1790-1791, si raggiunse il picco di produzione che rese insufficienti gli spazi dei locali del Martinetto e di casa Piana; pertanto la fabbricazione fu in parte localizzata a Pettinengo e delegata ad Antonio Vaglio, già noto all’amministrazione per il suo ruolo «nella condotta dei calzetti»[16]. Le calze prodotte in questi anni ammontano a più di mille dozzine, di cui circa la metà rimasero in giacenza per poi essere vendute successivamente. In merito alle rimanenze di magazzino, occorre ricordare che la sovrapproduzione appare in linea con la strategia adottata dalla direzione della fabbrica di acquistare fin da subito ingenti quantità di materia prima, e dai numeri elevati di manodopera impiegata nel primo biennio annotati a libro mastro. Dopo l’iniziale frenesia produttiva, i ritmi invece rallentarono, come conseguenza anche del calo delle vendite.
Seppur protagonista di una rapida crescita e di buoni guadagni, la fabbrica non ebbe un futuro altrettanto brillante; la morte improvvisa del commesso Giuseppe Apostolo, nel 1792, privava la manifattura di una figura centrale per il buon andamento degli affari[17]. Alla perdita di un prezioso collaboratore interno, si aggiungevano sempre maggiori difficoltà nello smercio delle calze, il ritardo dei pagamenti da parte dei compratori, la ristrettezza dei fondi a disposizione necessari alla manutenzione e alla prosecuzione della produzione. D’altronde gli echi della crisi economica e della guerra, gli sconvolgimenti della Rivoluzione francese, stavano investendo l’Europa creando un lungo periodo di instabilità poco propizio al commercio[18]. Svariate ragioni giustificano quindi quanto emerge dal libro dei Conti negli anni successivi al 1792-1793: non si registra più l’acquisto delle lane, cala drasticamente di anno in anno la produzione di calze e il numero dei lavoranti impiegati nella manifattura (da un costo annuo per gli stipendi nel 1791 di circa 12 mila lire si passa alle circa 3 mila in due anni, nel 1795-1797)[19].
La vicenda della fabbrica di calzetti si concluse quindi con una lenta decadenza, che portò alla fine del 1797 alla chiusura definitiva. Al termine della produzione, i locali e i ricoverati dell’Ospizio furono riconvertiti nuovamente alla filatura del cotone.
Traendo un bilancio finale, per la Congregazione, il progetto di Luigi Berard si rivelò comunque un’esperienza positiva; l’azienda del commerciante francese aveva fruttato in quegli anni all’Ospizio degli utili considerevoli e offerto una nuova possibilità d’impiego ai poveri della città.
[1] M. Grazia Cerri (a cura di), L’Ospizio di Carità di Biella, Ed. Sandro Maria Rosso, Biella, 2000, p. 23.
[2] Per la storia approfondita dell’ente vedi M. Grazia Cerri (a cura di), op. cit.; M. Coda (a cura di), L’Ospizio di Carità di Biella. Regolamento interno, Vercelli, 1978; C. Sormano, L’Ospizio di Carità di Biella dalle origini (1718) alla restaurazione monarchica (1814), Società tipografica dell’Ospizio di Carità, Biella, 1932.
[3] C. Sormano, op. cit., p. 142.
[4] Nel 1782 al Machetto, ormai in età avanzata, subentra come direttore della filatura Giovanni Masserano, persona di provata esperienza con alle spalle la gestione di diversi stabilimenti. Vedi C. Sormano, op. cit., p. 143.
[5] Regio Viglietto. Tipologia di breve comunicazione del re.
[6] C. Sormano, op. cit, p. 145.
[7] Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, sez. 7, Cfr. C. Sormano, op. cit., p.146.
[8] C. Sormano, op. cit., p. 141. Per approfondire la vicenda del cav. Miglio e dei prestiti concessi ai lanifici vedi pp. 136-142.
[9] Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, sez. 2.
[10] La scelta del follone si rivelava particolarmente vantaggiosa: il corso d’acqua adiacente, oltre a fornire la forza idraulica necessaria ai macchinari, possedeva una temperatura delle acque particolarmente favorevole al processo di follatura. Vedi C. Sormano, op. cit., p. 145.
[11] Negli anni successivi l’acquisto di lane rallenta significativamente dopo l’ingente scorta fatta nel biennio 1789-1790 e le sole spese rimangono quelle di trasporto della lana tra i diversi punti di lavorazione. Per esempio, nel 1795-1797 la cifra spesa non supera le 200 lire. Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, sez. 5.
[12] Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, cap. 7. La morte di Berard emerge anche dalla lettura del libro dei Conti, sul quale si annota il passaggio degli utili alla vedova Berard e, tra le spese degli stipendi, anche il denaro corrisposto ad Apostolo per il pagamento del funerale di Luigi Berard (20 novembre 1790).
[13] Vedi C. Sormano, op. cit., p. 146.
[14] Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, cap. 10. Cfr. C. Sormano, op. cit., p. 147.
[15] Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, sez. 11; Regole generali atte a conciliare gl’interessi de’ debitori, e de’ creditori, secondo i principi d’equità. Che tali basi sono state determinate di comune accordo col progetto delli 2 del corrente sottoscritto da 21 Negozianti adunatisi alla presenza del cittadino Eymar Commissario civile del Direttorio esecutivo del Piemonte”. Raccolta delle leggi, provvidenze, e manifesti pubblicati dai governi francese, e provvisorio e dalla municipalità di Torino […], Torino, 1798, p. 176.
[16] Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, sez. 5.
[17] Giuseppe Apostolo venne sostituito nel suo ruolo di commesso dal figlio Felice Apostolo. Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, sez. 4.
[18] C. Sormano, op. cit., pp. 147-148. Sormano nel suo libro registra la chiusura della manifattura e la risoluzione della società con gli eredi Berard già nel 1792, con un utile di 2.344 lire più il valore degli immobili e delle attrezzature. Dal libro dei conti della fabbrica invece l’attività risulta proseguire, benché sensibilmente ridotta, fino alla fine del 1797 e la vedeva Berard compare ancora delegata al pagamento della manodopera per conto dell’amministrazione.
[19] Archivio di Stato di Biella, Ospizio di Carità di Biella, Conti 1789-1798, Categ. IV, n. III, 9, sez. 7.