Fabbriche e fabbricati
- Fabbriche e fabbricati
- La schedatura degli opifici storici
- I villaggi operai biellesi
- Ciminiere
- Ciminiere e ciminiere… il Biellese
- Edilizia industriale
- Il Lanificio Maurizio Sella
- Le Pettinature Rivetti
- La sede dell’Unione Industriale Biellese
- L'”Albergo di virtù” del Santuario di Oropa lungo le rive del Cervo
- Ospizio di Carità di Biella: fabbrica di calzetti
- Pettinatura Italiana Limited
- Occhieppo Superiore e i suoi folloni
- Montagna e fabbriche: dialettica e simbiosi
- Schemi insediativi del rapporto tra fabbrica e paesaggio
Dal catalogo della mostra Fabbriche formato cartolina, CELID, Torino 1995, pp. 55-66. Si ringrazia il DocBi – Centro Studi Biellesi.
Gli estratti provengono dal saggio di Marco Neiretti
Fattori primari di localizzazione e di sviluppo appaiono, anche qui come in altre zone tessili, le risorse naturali e la disponibilità di manodopera. L’originalità del caso biellese consiste nella collocazione delle risorse naturali all’interno di un sistema comunitario che potenzia i fattori produttivi della protoindustria e dell’industria e promuove la maturazione di imprenditori e di manodopera qualificata, con una specifica cultura del lavoro e quindi con larga disponibilità di capitale umano.
L’integrazione di natura e società ci coglie anche visivamente nel messaggio iconografico leggibile soprattutto nelle cartoline degli anni dell’industrializzazione compiuta, in una specie di equilibrio dinamico tra opifici, residenze, edifici a uso sociale, con i picchi alti delle ciminiere e dei campanili, e nell’intorno il variegato disporsi dei corsi d’acqua, delle sopravvivenze agricole, del sistema stradale.
La sua lavorazione era integrata nell’attività della famiglia patriarcale, e soddisfaceva in prevalenza le sole esigenze dell’autoconsumo. La canapa ebbe la sua epoca d’oro nel periodo di transizione dal medio evo all’età moderna, come attesta il regolamento di produzione e di commercio emanato dal Duca di Savoia nel 1407 per le comunità di Biella, Andorno, Broglio, Mortigliengo, Ronco e Zumaglia, Sordevolo, Pollone, Graglia, facenti parte della Podestaria di Biella. Anche il programma di politica economica su cui Emanuele Filiberto (1559) avvierà la riorganizzazione degli Stati di Piemonte, fa riferimento al Mandamento di Biella, luogo in cui «si fanno tele assai, quali si conducono a Vinegia ed in riviera di Genoa, per uso di vele per nave, et coperte di galere». Una produzione che si affianca a quella laniera di «panni grossi et alcuni mediocri, quali grossi si usano in le montagne, et portansi ancor sopra il Stato di Milano et in riviera di Genoa per le coperte di galere et schiavi». Si trattava di un’attività assai diffusa e radicata se ancora in pieno Settecento si contavano nel Biellese 937 telai per tele. Press’a poco lo stesso numero di quelli per lana.
Nel lanificio a ciclo completo si esprime al meglio anche la cultura operaia, non solo tecnica ma anche associativa, dalla quale nascono i tecnici e quasi tutti gli industriali biellesi. Si tratta di un capitale umano fondato sulla sinergia dell’abilità tecnica e della capacità di organizzare i fattori della produzione, da un rigido costume civile e da una visione ideale che colloca la fabbrica nei luoghi fisici e nella vita sociale della comunità. Una vita caratterizzata a sua volta da «sinergie sociali» come la diffusione degli asili d’infanzia, delle scuole elementari, delle scuole professionali, che istruiscono e preparano il lavoratore, mentre una rete sempre più fitta di iniziative di beneficenza e di assistenza costituisce l’altro importante momento della solidarietà comunitaria.
Questo modello consente inoltre alla classe operaia biellese di conquistare livelli salariali più avanzati che in altre zone, attraverso una forte capacità di resistenza e di contrattazione, che si compie per lo più sotto l’egida del sindacalismo riformista.
Biella e Valle Elvo nell’epoca della manifattura (sec. XVII – XVIII)
Il fenomeno della manifattura e dell’industrializzazione ebbe una scansione differenziata nella storia e nello spazio dell’arco biellese e valsesiano. Le attività laniere appaiono infatti più avanzate in Biella e nella Valle Elvo nel periodo della manifattura. Fin dal Duecento a Biella i drappieri si erano dati propri statuti, facenti parte dell’insieme normativo del Comune. Sul finire del Cinquecento anche a Sordevolo e a Occhieppo Superiore nella Valle dell’Elvo venivano coordinati in unico testo diverse disposizioni, attinenti in gran parte l’economia agricola, ma anche la disciplina dell’uso dei corsi d’acqua e delle piste di canapa. In quel periodo, Biella e la Valle dell’Elvo ottengono dai sovrani sabaudi privilegi di commercio, cui si uniscono (è il caso degli Ambrosetti di Sordevolo sul finire del Seicento) ordinativi per la corte e l’esercito. Qui la fiscalità statale viene soddisfatta da comunità relativamente più ricche d’altre zone subalpine, tal che una costante accumulazione, di famiglie e di sistema comunitario, consente il decollo precoce della manifattura dei panni fini a elevato valore aggiunto.
Con il Settecento la produzione di panni fini si diffonde anche alle altre vallate, ove da tempo opera il laboratorio domestico: Santa Maria di Mosso dispone di propri statuti fin dal sec. XV.
Provvedimenti restrittivi e la crisi settecentesca
La maturità del sistema tessile-laniero non tarda però a preoccupare il governo di Torino, dalla politica economica basata sull’assolutismo e sul mercantilismo, che comportano l’intervanto continuo dello Stato in materia di economia e di lavoro. Così, nel 1733, per impedire che il Biellese diventi area dominante dell’economia subalpina, Carlo Emanuele III proibisce ai biellese di produrre panni fini. Il provvedimento bloccava la concorrenza biellese sui mercati lombardi, svizzeri, francesi, e nello stesso tempo comprimeva la capacità di accumulazione finanziaria del sistema manifatturiero e la sua evoluzione verso forme più avanzate della protoindustria. Le conseguenze più vistose si registreranno nei decenni di fine secolo nella Valle dell’Elvo, con una riduzione delle attività manifatturiere, mentre nel primo Ottocento il sistema industriale decollerà soprattutto nelle Valli dello Strona e del Sessera.
Una ventina d’anni dopo le proibizioni di Carlo Emanuele III, l’Intendente Blanciotti nella relazione sulla Provincia di Biella annotava che la manifattura della lana, «prima della proibizione delle rattine, ed altre stoffe» contava oltre duemila telai per la produzione di alfetich, mezzelane, pirlate, saglie, nella comunità di Mosso S. Maria, Croce di Mosso, Valle Inferiore e Superiore di Mosso, Veglio, Pistolesa, Camandona, Pettinengo (Valle Strona); Trivero, Coggiola, Portula, Pray (Valsesssera); Occhieppo Superiore, Sordevolo (Valle Elvo); Santa Maria di Bioglio, Biella. Purtroppo, a causa della proibizione di produrre panni fini, osserva il Blanciotti, «i tellari battenti sono più della metà oziosi, e le manifatture vanno in grande dicadenza». La domanda subalpina di stoffe pregiate veniva soddisfatta dai rodetti e gamellini di Francia, mentre a quella di prodotti più grossolani provvedevano «drappi grossi, s’introducono dalla Svizzera».
Nell’Ottocento dell’industrializzazione: il primato delle valli dello Strona e del Sessera
Dopo l’occupazione napoleonica le produzioni tessili biellesi beneficiarono della ripresa interna dell’economia tessile (favorita tra l’altro da un certo protezionismo) che consentì il passaggio dal sistema manifatturiero a quello industriale. Punto di snodo è costituito dall’introduzione fin dall’inizio del secolo in Valle Strona delle «meccaniche» ad iniziativa di Pietro Sella. Un’operazione rivoluzionaria, a seguito della quale verrà creata una prima officina per la fabbricazione di macchine tessili.
L’Ottocento rappresenta pertanto il secolo d’oro dell’industrializzazione biellese. In quei decenni lo sviluppo industriale trasforma radicalmente le vallate dello Strona e del Tessera, che acquistano un primato dopo l’altro, sia nel campo della produzione che dell’occupazione, delle attività sindacali e delle iniziative sociali.
Con il sec. XX l’energia elettrica sostituì gradualmente l’energia idraulica, con la conseguente riorganizzazione territoriale del sistema tessile biellese e basso-valsesiano, caratterizzato nel secondo dopoguerra dal fenomeno della pianurizzazione di numerose allocazioni industriali lungo gli assi viari Biella-Gattinara, Biella-Santhià. Biella-Massazza.
Mutazioni e permanenze nel sistema insediativi
Pure in un quadro territoriale e sociale profondamente mutato, l’antica industria tessile-laniera ha mantenuto i suoi presidi storici nelle vallate, come a Sordevolo, Pollone, Occhieppo Superiore, nella valle dell’Elvo, a Tollegno, Andorno, Miagliano, Sagliano in quella del Cervo; a Pianezze di Callabiana, Pettinengo, Mosso, Valle Mosso, nella Valle Strona; a Trivero, Ponzone, Portula, Coggiola, Pray in Valsessera, ed infine a Borgosesia, Serravalle, Quarona, Grignasco nella Valsesia.
Lungo il Novecento, il paesaggio biellese ha pertanto subito nelle zone industriali profonde trasformazioni, in parte dovute alla nuova allocazione degli stabilimenti e alla dimissione di antichi presidi della prima industrializzazione, e in parte attribuibili alle nuove modalità costruttive degli stabilimenti. Aspetti fisici che rispecchiano anche la trasformazione del sistema produttivo, che in larga misura ha abbandonato la struttura del lanificio a ciclo completo, per ridistribuirsi nel «sistema orizzontale» delle piccole e medie imprese (filature, tessiture, tintorie, confezioni), articolato sul territorio su una rete diffusa di nuovi insediamenti.