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L’ITT di Angelico, da mezzo secolo in una fabbrica che ha cento anni
[da “Eco di Biella” del 13 novembre 2025]
“Non mi manca la fabbrica, perché ci vivo ancora dentro. Mi manca la gioventù”. Paolo Angelico, fondatore della ITT nel 1971, esordisce così. E aggiunge. “Meno male che ci sono i miei figli, perché i ritmi di oggi sarebbero per me insostenibili”. Il padre ha lasciato le redini dell’azienda ai figli Edoardo ed Enrico nel 2006. Dopodomani [15 novembre 2025, n.d.a.], con un brindisi, si celebrerà un riuscito intervento di recupero strutturale…

…che ha dato nuova vita alla elegante facciata della fabbrica lungo via Cottolengo. “Al restauro della facciata – aggiunge Edoardo Angelico – si somma anche una ricorrenza significativa. Abbiamo fatto un po’ di ricerche e abbiamo scoperto che lo stabilimento è stato progettato e realizzato nel 1925, quindi festeggiamo anche il primo secolo di questi muri”. Muri che, da cinquantaquattro anni, ospitano un’impresa ormai storica. “Ci tengo a sottolineare che presi l’iniziativa grazie a un grande amico, Ermanno Germanetti [scomparso nel 2013, n.d.a.]. Fu lui ha prospettare la possibilità di avviare in questa fabbrica un finissaggio e una tintoria”. Questi sono i ricordi di Paolo Angelico. “Io, all’epoca, lavoravo come chimico tintore alla Tintoria di Chiavazza. L’idea mi piacque e, soprattutto, mi convinse l’amicizia che ci univa. Senza il sostegno di Ermanno e di suo fratello, Sergio Germanetti, non avrei potuto fare un passo simile. Il 22 dicembre 1971 firmammo l’atto costitutivo della s.a.s. Finissaggio e Tintoria Angelico, di cui ero il socio accomandatario, mentre la Filatura Cervinia era l’accomandante”. Dapprima in locazione, poi acquistando l’intero fabbricato (1987), Paolo Angelico ha saputo costruire una solida rete di relazioni industriali con molte aziende locali, a partire dalla stessa Filatura Cervinia e dal Lanificio Angelico di Ronco, di Giuseppe, Giorgio e Giancarlo, fratelli di Paolo Angelico.
“Il Lanificio Angelico – precisa Edoardo – fu anche, per diversi anni, nostro socio, dalla fine degli anni Ottanta al 2016. In quel momento abbiamo acquistato anche quella quota azionaria. Adesso ci siamo solo noi”. Fu un esordio duro, quello dei primi anni Settanta, ma il comparto tessile biellese era diverso da quello di oggi. “Oggi – continua Edoardo – il mondo non è paragonabile a quello di allora. Ma noi, e con noi l’azienda, siamo sempre stati adattabili, flessibili, versatili. Mio padre ha impostato la gestione della ditta con questo atteggiamento, prima mentale e poi produttivo e tecnico. Questo modo di approcciare il mercato ci ha consentito e ci consente di aprirci a orizzonti commerciali più ampi, sia in Italia, sia fuori”. La ITT è smart, in tutto. “Anche chi lavora con noi, nei reparti e negli uffici, è smart. Non possiamo permetterci di non esserlo ed è quello che vogliamo essere. Siamo soddisfatti della squadra che abbiamo costruito”. Poco meno di cento dipendenti, poco più di 11 milioni di Euro di fatturato. E la prospettiva di crescere non tanto nelle quantità, quanto piuttosto nelle qualità. “Esaltando sempre più la componente artigianale di questo lavoro che è la specialità che ci distingue da chi propone prodotti facili. Noi ci siamo specializzati, invece, in quelli difficili, innovativi, in una dimensione da terzisti che deve e vuole avere standard qualitativi sempre più elevati”. Paolo Angelico non ha dubbi in merito. Edoardo segnala che gli ostacoli della globalizzazione sono più complicati da superare per i costi energetici notevolmente incrementati negli ultimi anni. “L’efficienza è impegnativa, così come la sostenibilità. Riutilizziamo il 50% dell’acqua che usiamo e siamo consapevoli del fatto che gli investimenti, non solo in tecnologia, fanno parte del gioco. Le regole sono queste e le rispettiamo cercando di migliorarci”. La fabbrica funziona a buon regime. Dal cancello della facciata restaurata il transito di mezzi è continuo. “Il 2025 è tranquillo. Il 2026 si prevede un po’ più vivace”, dice Edoardo. “Vedremo – conclude Paolo Angelico – e nel frattempo alziamo un calice ai Garlanda, a Giovanni e al figlio Aldo, che hanno messo in piedi questo stabilimento nel 1925”. La storia, pur con una diversa proprietà, continua.
Un secolo di storia tessile biellese, quella del Lanificio Giovanni Garlanda in un doppio articolo in edicola lunedì 17 e 24 novembre. La bella storia di una fabbrica che ha cambiato le sorti di una parte di città. Lì a due passi la “Strada al lanificio” tramanda quella novità che, allora, portò l’industria a ridosso del centro urbano quando i prati arrivavano fino a Gaglianico. La struttura produttiva è sorta dal nulla giusto un secolo fa, nel 1925, ed è rimasta attiva come filatura e tessitura fino al 1970. L’anno dopo, l’arrivo di Paolo Angelico con finissaggio e tintoria che tuttora operano sotto la ragione sociale ITT. Aldo Garlanda (scomparso nel 1980), figlio di Giovanni (morto nel 1948), fu un imprenditore, ma più ancora un “signore” che aveva ereditato l’azienda appena dopo l’ultima guerra e l’ha mantenuta in buona salute durante il boom economico. Ma ai tempi del vecchio Giovanni Garlanda, audace e capace, si facevano i conti col Fascismo, con la guerra, con la ricostruzione.
Il Lanificio Giovanni Garlanda compie 100 anni
[pezzo n° 1: da “Eco di Biella” del 17 novembre 2025]

Lo stabile, elegante e da poco restaurato, è quello che si affaccia su via Cottolengo. Dal 1971 è la sede del Finissaggio e Tintoria Angelico, poi, dal 1982, ITT Industria Tessile Tintoria. Fu Paolo Angelico ad avviare quell’impresa che oggi, dopo più di mezzo secolo, continua con i figli Edoardo ed Enrico. Ma lo stabilimento ha una storia ancora più lunga da raccontare. Una storia che vale un secolo e che, ieri l’altro, è stata festeggiata con orgoglio alla presenza di tutte le autorità. D’altro canto, dieci lustri di attività per una fabbrica, con i tempi che corrono, non è cosa da lasciar passare inosservata. E gli Angelico hanno voluto tramandare, con rispetto e sensibilità, anche quella porzione di vita dell’impianto che non vide loro protagonisti, bensì un’altra importante famiglia di imprenditori tessili. Si tratta di Giovanni e di Aldo Garlanda, padre e figlio, che meritano di essere ricordati in questa pagina di approfondimento. Perché quei Garlanda furono a loro modo interpreti di un fare impresa, tutto biellese, che fa parte del nostro passato remoto, ma che, per fortuna, è tuttora lo spirito di chi, come gli Angelico, opera nel nostro settore d’eccellenza. Quindi, 1925. Nel gennaio di quell’anno, l’ingegner Enzio Peretti di Torino firmò alcune tavole progettuali per la facciata di quello che sarebbe nato come Lanificio Giovanni Garlanda. L’ing. Peretti (1887-1968) era un progettista piuttosto attivo e stimato tra le due guerre. Strutturista abile col cemento armato, ma anche attento all’estetica, come dimostra l’esito del suo studio per il fronte d’ingresso del fabbricato. Le immagini d’epoca attestano che il nome Garlanda si faceva notare al passaggio lungo l’ampia via che collega la città a Gaglianico, un tempo percorsa anche dal tramvai per Sandigliano e Borriana (dal 1925 al 1951). Edificare in quel punto di Biella, con l’imminente passaggio della tramvia proprio davanti all’ingresso e la vecchia linea Biella-Santhià appena alle spalle fu una buona idea. Giovanni Garlanda fu uno di quei “pionieri” che portarono l’industria, ormai mossa solo dall’elettricità, nella zona pianeggiante a sud di Biella. La pianura era più “ostile” delle vallate, perché era più difficile approvvigionarsi d’acqua, ma le superfici erano molto più ampie e, in quel tratto, le rogge che scorrono fuori dall’area urbana garantivano una buona portata d’acqua. Si trattava di colonizzare una terra diversa da quella che Giovanni Garlanda, nativo della Vallestrona, conosceva. Era nato nel 1876, ultimo dei dodici figli. Rimasto orfano in tenera età, si diede da fare come manovale, ma a ventidue anni, mentre si guadagnava da vivere alle dipendenze dei cotonieri Poma, un grave infortunio gli costò un’invalidità grave che gli impedì di compiere lavori faticosi. Così, un operaio dovette diventare, suo malgrado, un tecnico e poi un imprenditore. Il destino è spesso beffardo e sempre imprevedibile. Giovanni Garlanda trovò impiego dapprima a Pralungo, poi a Luserna San Giovanni, poi a Pray (forse alla Trabaldo Togna), quindi a Quarona. Dopo il 1910, col fratello Celestino, acquistò un piccolo stabilimento a Lessona, ma nel 1914 il fuoco distrusse tutto. Ci fu la Grande Guerra e poi la pace vittoriosa. Giovanni e Celestino riuscirono a costituire una società con Adolfo Lora Totino in quel di Pray, ma anche in questo caso la sfortuna prese bene la mira e colpì. Nel 1924, alla fine di gennaio, il socio valsesserino morì in un incidente d’auto e, poche settimane dopo, anche Celestino si spense (in quello stesso 1924 morì anche l’omonimo Giovanni Garlanda, imprenditore tessile a sua volta e noto per essere stato il marito della poetessa Ada Negri). Giovanni Garlanda subì un grave rovescio. È dai giornali di allora e dal volume “Dai acqua!” di Massimino Scanzio Bais che provengono queste notizie e dalle stesse fonti si apprende che, dopo i due lutti, Giovanni Garlanda si spostò a Biella. Un altro “informatore”, ossia Andrea Coda Bertetto, sostiene che l’arrivo in città fosse avvenuto prima, nel 1922, ma poco importa. Quel che è certo è che dapprima si stabilì in via Cernaia 20 (oggi via Serralunga) in uno spazio dell’ex Lanificio Trombetta, ma era chiaro che si trattava di una sistemazione temporanea. Il sogno del nuovo fabbricato produttivo su via Cottolengo stava per concretizzarsi. La superficie individuata, nelle regioni Ara o Arra, Masarone e Rovere, in tutto tre ettari di campi e vigne, faceva al caso suo. Giovanni Garlanda affrontò un’operazione immobiliare di una certa ampiezza, acquistando terreni da una dozzina di proprietari. Il grosso delle compravendite fu concluso tra il maggio del 1924 e il dicembre del 1925, ma alcune porzioni di superficie entrarono in suo possesso nel 1926 (Masarone) e, in ultimo, nel 1941 (Rovere). Nel 1946, il 40% della superficie acquisita fu intestata all’azienda. Avuta a disposizione la terra, si trattò di costruire. E fu il tempo dell’ingegner Peretti e del cemento armato. E dei migliori auspici per il successo della nuova intrapresa. Lo Studio Rossetti fotografò il cantiere: la facciata ancora al rustico e i reparti dapprima vuoti, poi popolati solo da macchine (i selfacting della Duesberg Bosson di Verviers, assemblati in Belgio in quello stesso 1925) e gli uffici ancora privi di addetti. Il 7 luglio 1925, sul littorio “Il Popolo Biellese” si leggeva: “Il poderoso impulso industriale preso dal nostro Biellese si manifesta sia nelle vallate come in Biella stessa col sorgere di nuovi Stabilimenti. Il tramvai Biella-Sandigliano sta trasformando in zona industriale anche lo stradale di Gaglianico, ed infatti con rapidità sorprendente sta sorgendo lo stabilimento Giovanni Garlanda, ove anzi già girano in buon numero i telai e che promette di divenire uno dei più grossi Stabilimenti di Biella. Ben volentieri registriamo questo rigoglioso sviluppo e facciamo auguri che tutta Italia, sotto la sapiente guida del nostro Duce, pigli ad esempio la operosità silenziosa e fattiva della nostra regione”. Quei telai producevano “tessuti di lana in genere, per vestiti, pastrani, velure, panni” (dallo “Annuario della Laniera” del 1926). Tra i panni, anche apprezzati cheviot. Il 15 settembre 1927, sulla rivista mensile di aeronautica “L’ala d’Italia”, apparve una pagina tutta dedicata al Lanificio Giovanni Garlanda. I toni dell’articolo erano celebrativi ed enfatici, in patriottica armonia col regime ma, al di là delle parole di circostanza, alcuni elementi descrittivi sono piuttosto interessanti. “Di recentissima costruzione il Lanificio Giovanni Garlanda è la più pura espressione della tecnica laniera moderna che oltre i vecchi e solidi tipi di stoffe per uniformi, adottati da Municipi, Collegi, Enti, ecc., fornisce il mercato di quanto più capriccioso e più fine richiede la volubile moda. Ed infatti i Velours, i Ratins, Moscova, Exkimo, Drapé della ditta Garlanda dettano legge incontrastata e la loro bontà è così universalmente conosciuta che, pur nel brevissimo ciclo della sua attività lo Stabilimento laniero Garlanda ha procurato al suo fondatore e proprietario il lusinghiero nome di re dei paletots e dei panni”. Tanta ammirazione doveva provenire anche da una lauta sottoscrizione pubblicitaria a pro della rivista, ma che lo stronese fosse abile era un dato di fatto che non scoprivano i prezzolati redattori di quel mensile per amanti del volo. Stando sempre al testo edito su “L’ala d’Italia”, la fabbrica era sorta in soli otto mesi e dava lavoro a 400 operai. Una buona menzione anche per il ragionier Stefano Barberis, il “commerciale” di Giovanni Garlanda che, con le sue capacità “ha permesso la rapida creazione di una estesissima rete di clienti che oltre la bontà dei prodotti apprezzano la squisita correttezza del trattamento”. Le fotografie a corredo completano il peana offrendo una discreta visuale dell’azienda. Nel 1934 (altro “Annuario della Laniera”) la filatura e la tintoria erano ancora in via Cernaia, mentre solo la tessitura era nel nuovo stabilimento. Da lì uscivano “tessuti di lana in genere, per vestiti, pastrani da uomo e da donna, drapperie, panni, mobili civili”. Poco prima di Natale di quello stesso anno, lo stabilimento fu visitato dal Segretario Federale del PNF, Piero Pozzo. L’esito dell’incontro tra il gerarca e i Garlanda padre e figlio fu evidenziato dalla stampa con la solita retorica, ma anche in questo caso, tra le righe che inneggiavano romanamente ai trionfi dell’industria italiana, si colgono notizie storicamente rilevanti.
Il Lanificio Giovanni Garlanda compie 100 anni
[pezzo n° 2: da “Eco di Biella” del 24 novembre 2025]

A partire dal fatto che la tintoria era stata traslocata dalla sponda del Cervo alla sede principale e, soprattutto, dal numero dei dipendenti, 250, cioè assai meno di quelli dichiarati sette anni prima. Ragioni del calo? Contingenze geopolitiche internazionali ossia effetto della flessione generale post crisi del ’29? L’economia italiana era in fase di stagnazione, dopo annate alterne con episodi recessivi. Si procedeva verso l’autarchia e una sempre più marcata statalizzazione. In altri termini, la situazione non tendeva a migliorare e la contrazione dei posti di lavoro nel settore privato era accompagnata da quella dei salari. Il lanificio di via Torino (allora si chiamava ancora così) non faceva eccezione. Il rappresentante del Duce non eluse le mute domande dei lavoratori. Era chiaro che le cose non stessero andando per il verso giusto ed era quanto meno opportuno fornire una spiegazione. Da “La Provincia di Vercelli” si apprende che “compiuta la visita, il lavoro fu fatto cessare e gli operai si sono adunati intorno a Piero Pozzo per udire la sua parola incitatrice del Partito. Compiuta l’adunata, il Segretario Federale è sorto a parlare illustrando alle maestranze l’importanza ed il significato della sua visita che segna una presa di contatto viva e sincera, tra il Capo del Fascismo provinciale e la massa degli operai che è la truppa magnifica della battaglia economica che il Fascismo ha ingaggiato e che sta combattendo con l’ardore e la volontà che lo caratterizzano. Spiegata quindi la ragione di questa battaglia economica determinata dalla mancanza nella nostra terra di materie prime ed elogiato le maestranze che con disciplina e con fede permangono tenaci al loro posto di lavoro, Piero Pozzo è entrato nel vivo del suo discorso illustrando la civiltà corporativa e la collaborazione di classe in tutti i suoi aspetti sociali, etici ed economici”. Una prolusione che, con tutta probabilità, aveva e avrebbe recitato in tutte le fabbriche. Agli operai ricordò, infine, “come col volere e con la concordia si possono superare anche i momenti più duri”, aggiungendo che era dovere dei lavoratori “di perfezionarsi costantemente nel fisico e nel morale. Accennando ancora, alla necessità che tutti si formino una coscienza corporativa, Piero Pozzo.si è avviato alla conclusione affermando la superiorità della civiltà del lavoro, ed ha chiuso incitando tutti i camerati operai a continuare instancati ed instancabili sulla via tracciata dal Duce”. L’orazione non portò mutamenti sostanziali, e questo valeva anche per gli imprenditori. A rendere più fosche le tinte del quadro vennero le fiamme che distrussero il magazzino delle materie prime. Alla metà di luglio del 1937, poco dopo le 22, un furioso incendio mandò in fumo trecento tonnellate di lana, cotone e raion stivate sotto una tettoia allestita nel piazzale dello stabilimento. Macchine ferme per un tempo imprecisato e un milione e mezzo di danni. Un brutto tiro del destino. Nella primavera del 1938, con progetto dell’ingegner Decio Baraldi (rovigotto di Trecenta, laureatosi nel 1925 e appena arrivato nel Biellese), Giovanni Garlanda ottenne l’autorizzazione a costruire un capannone a doppio shed e un edifico a tetto piano (uno per attività produttiva, l’altro per autorimessa). Un segno di ripresa. Il primo è quello che attualmente ospita la modernissima tintoria. Anche l’autorimessa è ancora al suo posto. La guerra arrivò anche a Biella e portò miseria e sofferenza. Per quanto fosse difficile produrre, stante la quasi totale assenza di materia prima, i lanifici biellesi lavoravano. Ovviamente per lo più a favore del Regio Esercito dietro commesse per panni militari. C’è una rappresentazione grafica del complesso di via Cottolengo che si può datare a qualche anno prima del 1938 (non si vede lo stadio sullo sfondo, quindi dovrebbe essere precedente anche al 1936). Nel disegno, stampato dalla Almasio di Intra, non ci sono ancora il capannone a doppio shed e la rimessa di cui sopra. Nella figura si coglie il fervore del lavoro attorno e dentro lo stabilimento: auto, carri, la ferrovia e la tramvia, tutti in movimento. Anche nel parco e nella villa padronale realizzati oltre la strada, in regione Masarone, replicando anche il qui il modello delle vallate: la casa dell’imprenditore accanto alla fabbrica. Le informazioni si diradano per il periodo drammatico che stava iniziando. Nel 1940 un furto di stoffa che costò ai ladri, acciuffati quasi subito, una pena severa. Nel 1941 la beneficenza a favore dell’Ospizio di Carità del Vernato. Il 22 gennaio del 1943, “il Biellese” scriveva che “capi ed operai del Lanificio Giovanni Garlanda di Biella sono stati oggetto di nuove particolari attenzioni da parte dei loro principali che avevano già dimostrato la viva comprensione per i propri dipendenti con l’istituzione della mensa aziendale beneficiandoli ora di una generosa gratifica in occasione del Ventennale e per il lieto evento che ha allietato la spettabile Famiglia Garlanda, con la nascita del terzogenito in casa del signor Aldo. Alle attestazioni di gratitudine e riconoscenza che impiegati, capi e maestranze hanno sentito il dovere di dimostrare per i loro principali è giusto aggiungere una pubblica segnalazione del gesto generoso”. Il nuovo nato, Dodi, era un indice di speranza. E la guerra finì. Venne il momento di cambiare. La pace apriva nuove prospettive servivano nuove generazioni per svilupparle. Su “Mondo aperto. Rassegna delle relazioni economiche internazionali” edito dal Centro italiano per lo studio delle relazioni economiche estere e dei mercati del 1946, si leggono le caratteristiche dell’azienda a uso del mercato creatosi dopo il conflitto: “Woollen – manufactory Fine textiles for Gentlemen and clothes production”. Con atto 30 luglio 1946, rogato notaio Angelo Chiodi Daelli, Giovanni e Aldo, padre e figlio, regolarizzarono la società di fatto fra di loro corrente. Il fondatore era già residente ad Alassio, come a dire che il timone dell’azienda era nelle mani dell’erede. La s.n.c. così costituita avrebbe avuto durata fino al 31 dicembre 2000 con un capitale sociale fissato in due milioni di lire, sottoscritto dai due soci in parti uguali. La grande macchina tornava a girare. Si fermò solo al cospetto della Vergine Bruna, il pomeriggio di martedì 19 luglio 1949. La Statua della Madonna d’Oropa passò anche da qui durante la sua “Peregrinatio”. Ma Giovanni Garlanda non visse quel momento storico. Era morto, infatti, ai primi di marzo del 1948. Di quel periodo (1947) è un’altra raffigurazione della fabbrica (firmata “GBric”). Simile alla precedente, ma a colori, testimonia (poco) tempo trascorso. Lo stacco maggiore si percepisce nel design dei mezzi di trasporto (con la tramvia che passa sui binari, come fece fino al 1951), ma lo stabilimento è ancora quello di sempre, con le ramme per le pezze schierate nel cortile. Gli anni Cinquanta arrivarono con le fiammate degli scioperi politici. E fu il tempo di un altro aggiustamento aziendale. “La società per azioni Lanificio Giovanni Garlanda, con atto not. Vandoni del 7 novembre 1951, e stata trasformata in accomandita semplice, trasferendosene la sede da Milano a Biella: legale rappresentante il signor Aldo Garlanda”. Aldo Garlanda era il socio accomandatario rispetto alle altre due socie, ossia le sue sorelle Lea e Rina, accomandanti. Per i successivi vent’anni, o quasi, l’azienda continuò la sua esistenza. Il fisco segnalò una vistosa discrepanza tra i redditi denunciati (11,5 milioni) e quelli verificati (70 milioni) per l’annata 1955-1956 (ricchezza mobile e imposta complementare sul reddito), ma si trattava di una situazione di fatto fisiologica, molto italiana, strutturale e condivisa da tutte le più grandi realtà industriali del Biellese e del Paese. L’Annuario della Laniera (più precisamente la “Guida Laniera. Guida e indirizzi del Lanificio Italiano”) del 1962 le dedicò poche parole: “Filatura cardata, tessitura, rifinizione. Tessuti cardati di medio peso e pesanti per uomo. Tessuti pettinati. Pledde”, dove “pledde” sta per plaid. Era l’epoca in cui Aldo Garlanda giocava a golf. Fu ai primi anni Settanta che, per ragioni legate alla “crisi tessile” di quel frangente, Aldo Garlanda decise di cessare l’attività e affittò lo stabile. In quel momento entrò in scena Paolo Angelico. Uscì di scena, invece, Aldo Garlanda, che si ritirò a Milano con la famiglia. Morirà nel 1980, a sessantanove anni. Ma quella che era stata la fabbrica sua e prima di lui del padre non smise di vivere. E vive tuttora, festeggiando un secolo di storia.