Il tessile biellese
- 1882: il Biellese tessile alla ricerca del suo mito
- I libretti di lavoro del Lanificio Trabaldo Pietro Togna
- Tessile e sport
- Patrimonio e paesaggio industriale dalla tutela allo sviluppo
- La lana e le lavorazioni artigianali della lana
- Lavoro minorile nell’industria biellese dal secondo Ottocento al fascismo
- Memorie della nostra terra
- Il paesaggio sonoro dell’industria
- Terra di telai: l’industria tessile nel Biellese
- Ieri, oggi, domani
- Il protagonismo femminile nel Biellese: filantropia, lavoro sociale e mutuo soccorso
- Il Biellese nell’Ottocento: dalle comunità rurali alla società di fabbrica
- La nascita della questione operaia nel Biellese e il grande sciopero del 1877
- Il Biellese e i sarti
dal catalogo della mostra Tessere la vita, Castello Reale di Moncalieri 16 ottobre – 27 dicembre 2009
“I telai di Biella mi ispirano“. Nell’anno secolare del Futurismo ritorna attuale questa affermazione Filippo Tommaso Martinetti pronunciata nel 1937, in occasione di una sua visita a Biella. L’ispirazione che i telai biellesi suscitarono in Martinetti fu quella di proporre l’attribuzione di un premio ai “cantori” dei telai biellesi; idea anticipatrice dell’attuale “Premio Biella letteratura e industria”.
Se il periodo futurista non stimolò nel territorio biellese opere di assoluto rilievo, i dettami e i richiami alla velocità, al movimento, al suono lacerante delle sirene furono invece praticati concretamente sia dagli imprenditori impegnati nella dinamica ricerca del nuovo che dagli operai, velocemente alle prese con meccanismi, tecnicismi, ingranaggi, correnti elettriche… e in particolare dai tessitori, definiti “gli strumentisti del concerto dei telai”. Proprio i tessitori sono stati, secondo l’affermazione di Martinetti, i veri, inconsapevoli protagonisti della stagione futurista biellese.
Biella “città della lana”, ossia “capitale del tessile”. Sono affermazioni ovvie e scontate per i biellesi, ma lo sono altrettanto per il “resto del mondo”? Eppure nel Biellese, che vanta una millenaria tradizione laniera, si produce ancora oggi circa il 40% di tutta la stoffa pregiata fabbricata nel mondo. Questo territorio, dove quotidianamente “si mangiava pane e navetta“, conserva assieme al saper fare, alle memorie, a preziosi archivi un ingente patrimonio industriale – tra i più rilevanti in Europa – costituito da decine di lanifici ottocenteschi e dalle infrastrutture a essi connesse.
Le lavorazioni laniere nel Biellese vantano origini antichissime, come è certificato dai ritrovamenti archeologici riferiti all’epoca preromana. Ma la caratteristica principale che rende unico questo territorio non consiste tanto nella precocità delle attività tessili quanto nel loro permanere attraverso i secoli.
Le lavorazioni laniere, regolamentate dagli Statuti fin dal 1245, continuarono a essere praticate nei secoli successivi prevalentemente per l’autoconsumo ed erano già ampiamente diffuse nel secolo XVI, come è testimoniato anche da un documento di particolare interesse: il Consegnamento di Mosso, una delle antiche comunità dedite alla lavorazione della lana. Tale documento venne redatto nel 1582 a seguito delle lettere patenti emanate dal Duca di Savoia Carlo Emanuele I, che imponevano appunto il censimento, a fini fiscali, di tutti gli artefici, dei mercanti e dei loro dipendenti. Dall’analisi delle dichiarazioni dei capofamiglia risulta evidente come l’intera comunità di Mosso fosse impegnata nelle lavorazioni laniere. Il comune aveva all’epoca una popolazione di circa 3500 abitanti corrispondenti a circa 680 famiglie; nella quasi totalità dei casi il capofamiglia o un figlio esercitava l’arte della lana.
Non sempre il rapporto con la dinastia sabauda fu favorevole ai biellesi, che si sottomisero ai Savoia fin dalla fine del Trecento ottenendo in cambio privilegi e prerogative economiche e commerciali, indice di un rapporto quasi contrattuale con il sovrano. Infatti all’inizio del XVIII secolo la politica economica sabauda intervenne direttamente nel settore tessile incentivando con finanziamenti l’insediamento di fabbriche per la lavorazione dei panni fini in Torino e Saluzzo. Per favorire lo sviluppo di questi lanifici, che non sarebbero stati in grado di reggere la concorrenza di quelli biellesi, i regolamenti del 1733 – che possono oggi essere considerati quasi alla stregua di uno strumento di controllo dell’origine e qualità dei tessuti – proibirono ai “lanateri” biellesi, accusati anche di scorrettezze commerciali nella composizione delle stoffe, la lavorazione di panni fini. Tale proibizione, spesso disattesa dai biellesi, si protrasse per quasi tutto il secolo, fino al periodo dell’occupazione francese, contraddistinto da una politica economica più moderna.
La progressiva diffusione delle lavorazioni tessili nell’ambito del “sistema domestico” durante tutto il XVIII secolo fu favorita, oltre che dalla caratteristica “esattezza e capacità” delle maestranze biellesi, dall’abbondanza di acque di particolare leggerezza e dall’allevamento delle pecore per la produzione di lana autoctona, per quanto non particolarmente pregiata, tant’è che più di ventimila pecore sono allevate nel Biellese attorno al 1770. Anche la coltivazione e consuetudine nella lavorazione della canapa, molto diffusa in ambito domestico, favorirà lo sviluppo delle successive attività laniere. Questi sono soltanto alcuni degli aspetti che consentirono la progressiva affinazione delle lavorazioni tessili e la formazione di una manodopera specializzata che costituì la principale risorsa utilizzata dal mercante-imprenditore. Questa figura era sostenuta da sistemi parentali forti, il cui patrimonio consentiva l’acquisto di lane grezze nei mercati del Bergamasco e di Borgosesia. Le lane, trasportate nel Biellese a dorso di mulo stante la carenza cronica di strade, venivano affidate all’artigiano domestico per la lavorazione: il tessuto finito era quindi rilevato per essere commercializzato sulle piazze urbane. Progressivamente il mercante-imprenditore, grazie all’ampliamento dei suoi interessi, al miglioramento della qualità produttiva – da lui stesso stimolata –, all’acquisizione di alcuni ordini rilevanti con contratti pluriennali da parte della Corte e dell’esercito si trasformerà nel secolo successivo in “fabbricante”, divenendo così il protagonista dell’epoca manifatturiera e della successiva trasformazione nel “sistema di fabbrica”.
La trasformazione avvenne all’inizio dell’Ottocento, favorita dall’introduzione delle prime macchine tessili e in particolare del filatoi automatici, detti mule, a opera di Pietro Sella (1784-1827), presto imitato dalla maggior parte dei principali imprenditori lanieri che in un primo tempo avevano inutilmente tentato di opporsi a tale innovazione. Quella di Pietro Sella è una figura mitica nel mondo tessile biellese. Antesignano del moderno imprenditore, teso alla ricerca della conoscenza e del sapere, Pietro fu anche uomo di vasta cultura che spaziava dall’economia politica all’entomologia. A lui si deve inoltre la ripresa della produzione dei panni fini che riuscì a ottenere grazie alla lavorazione di lane pregiate, acquistate personalmente all’estero percorrendo il Centro Europa anche alla ricerca dei nuovi mercati. L’affermarsi del “sistema di fabbrica” determinerà nella prima metà dell’Ottocento una vera e propria rivoluzione economica, territoriale e sociale. Infatti, la localizzazione dei lanifici lungo i torrenti che fornivano la sola energia allora disponibile, quella idrica, causò il progressivo abbandono delle attività manifatture in atto nelle borgate e nei cantoni dei comuni montani del biellese, nei quali le lavorazioni laniere si erano sempre svolte, obbligando i lavoranti a percorrere quotidianamente i sentieri aperti attraverso i boschi per raggiungere il fondovalle.
L’introduzione delle nuove tecnologie e del sistema manifatturiero causò la progressiva suddivisione e specializzazione del lavoro, determinando da un canto la formazione di nuovi profili professionali all’interno del sistema di fabbrica e rafforzando dall’altro il ceto dei tessitori a domicilio. I tessitori continuarono a trattare in condizioni di forza con i fabbricanti, osteggiando sia in termini di concorrenza che di cultura del lavoro l’inarrestabile sviluppo del sistema di fabbrica e la conseguente necessità della sua regolamentazione, attivata in modo formale nel 1826, a seguito dell’introduzione del primo “Regolamento” nel lanificio di Giò Domenico e fratelli Sella.
Nel 1827 gli imprenditori biellesi cominciarono a partecipare alle esposizioni di Torino, conquistando i primi premi e affermando la leadership biellese nel settore laniero piemontese e nazionale. Nei decenni successivi alle storiche dinastie tessili di origine manifatturiera, che proseguivano una tradizione già avviata nel Settecento, (gli Ambrosetti, i Piacenza , i Sella, i Vercellone e altri) organizzati in complessi parentali – vera e propria ossatura e classe dirigente con uomini di primo piano nella politica nazionale, nelle scienze e nelle arti – si affiancarono imprenditori di origine operaia che diedero nuovo slancio alla produzione e fondarono, come nel caso dei Rivetti , imperi estesi ben oltre i confini del Biellese.
A metà Ottocento si registrò un netto incremento produttivo, favorito dal miglioramento della qualità dei tessuti, testimoniato anche dal numero dei telai installati nei lanifici, che nel periodo compreso tra il 1848 e il 1861 passò da 800 a circa 2200.
Il travaglio sociale e tecnologico più intenso della rivoluzione industriale del Biellese corrisponde al periodo della transizione dal telaio a mano a quello meccanico. Dopo la razionalizzazione delle produzioni manifatturiere nel sistema di fabbrica, il telaio, da sempre di proprietà del tessitore, passò all’imprenditore e il lavoratore venne incardinato nel sistema di fabbrica. Questo processo iniziò negli anni Cinquanta dell’Ottocento anche a seguito della politica economica in senso liberale di Cavour, il quale favorì lo sviluppo delle attività manifatturiere indirizzate alla produzione di panni fini, che richiedeva da parte dei fabbricanti un maggior controllo, in particolare della tessitura. Il solo modo per ottenere tale controllo era appunto quello di trasferire la tessitura all’interno del lanificio. In un periodo successivo, col passaggio dal telaio a mano a quello meccanico, il tessitore perse la maggior parte del suo ruolo professionale di primordine che era riuscito a mantenere anche all’interno del sistema di fabbrica e da “aristocrazia operaia” divenne operaio sempre meno professionalizzato. Questo rapido cambiamento determinò l’esplosione di molte vicende umane, singole o collettive. Nell’ultimo quarto dell’Ottocento il passaggio dal telaio a mano a quello meccanico non fu del resto un processo lineare, né privo di esitazione, neppure per gli imprenditori. Anche per loro si trattò di un processo contrastato e a volte contraddittorio. Sul finire degli anni ’80 nell’industria tessile biellese, ormai assemblata nel sistema di fabbrica, l’impiego del telaio a mano era ancora largamente diffuso tanto da rappresentare oltre il 50% dei telai attivi negli stabilimenti. Infatti, nonostante la maggiore produttività dei telai meccanici – che passano in breve tempo dai 12.500 ai 18/20.000 colpi al giorno, corrispondenti a 6,5 metri giornalieri, rispetto ai 7500 colpi del telaio a mano, pari ai 2 metri di stoffa – gli imprenditori registravano costi di produzione nettamente superiori nel caso della tessitura meccanica, come è già documentato dal conto economico del lanificio Giò Domenico Sella nel 1877. L’incremento dei telai meccanici non era più limitato da motivazioni tecniche – che erano state da tempo risolte grazie ai continui miglioramenti della filatura ormai in grado di produrre filati più resistenti e quindi adatti alla tessitura meccanica – ma era frenato soprattutto dalla difficoltà di reperire le maggiori quantità di energia idrica necessaria per “dare acqua” e cioè azionare telai meccanici. Infatti, la capacità produttiva dei torrenti biellesi, che Quintino Sella aveva stimato in 10.000 cavalli dinamici, era ormai completamente sfruttata e pertanto l’energia occorrente poteva essere prodotta soltanto attraverso le caldaie a vapore che dovevano essere alimentate con il dispendioso carbone. Solo l’introduzione dell’energia elettrica utilizzata come forza motrice, quel “carbone bianco” proveniente dalla Valle d’Aosta attraverso le prime linee elettriche, finanziate dagli imprenditori lanieri, consentì di incrementare la diffusione dei telai meccanici.
I “costi sociali” erano stati nel frattempo in parte risolti dagli imprenditori attraverso l’assunzione di interi reparti di tessitrici ; le donne erano ormai in grado di controllare senza problemi i telai meccanizzati, ma i tessitori a mano tentarono inutilmente di opporsi con ogni mezzo a questa innovazione, suscitando invece nel gennaio del 1878 la decisione di eliminare il reparto di tessitura a mano del lanificio Sella di Biella, presto imitato dai maggiori concorrenti.
Il completamento della meccanizzazione del ciclo produttivo del lanificio, con l’introduzione del telaio meccanico, avvenne negli anni Novanta anche a seguito della favorevole congiuntura dell’industria laniera derivante dall’inasprimento protezionistico dei tassi di importazione nel periodo compreso tra il 1878 ed il 1890. Ne conseguì un incremento dei prezzi di vendita dei manufatti e l’ampliamento dei mercati che determinò da un lato una migliore redditività, ma dall’altro impose un radicale rinnovamento e l’aggiornamento tecnologico. In questi anni si rafforza la centralità in ambito nazionale delle imprese tessili biellesi che viene confermata anche dalla fondazione a Biella nel 1877 dell’Associazione dell’Industria Laniera italiana.
I Biellesi non si limitarono a sviluppare le attività laniere nel loro territorio, ma esportarono la tessitura in un primo tempo attraverso l’opera dei tessitori migranti, successivamente in modo più esteso, a seguito dell’emigrazione dei tessitori che non accettavano le nuove regole produttive imposte dal “sistema di fabbrica”. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento saranno gli imprenditori tessili a esportare nelle valli limitrofe al Biellese, poi nel Piemonte e in seguito anche in Sudamerica, gli stabilimenti industriali, alcuni dei quali sono ancora oggi in attività.
L’industria laniera nel Biellese si sviluppa, lungo tutto il Novecento, grazie anche al continuo miglioramento qualitativo, superando alternanti periodi di difficoltà e raddoppiando, nell’arco di mezzo secolo, la propria capacità produttiva. I telai passano infatti dai 3000 censiti nel 1900 ai 6700 del 1952, corrispondenti al 72,4% di quelli attivi in Piemonte ed al 30,4% di quelli esistenti in Italia.
La seconda parte dello scorso secolo è fortemente “segnata” dalla tragica e disastrosa alluvione che il 2 novembre del 1968 causò morte e distruzione nella Vallestrona e, in modo meno rilevante, anche nella valli limitrofe. Il cuore del sistema produttivo del comparto laniero ne uscì totalmente distrutto, tanto che nei giorni immediatamente successivi ci si interrogava sulle possibilità di ricostruzione dei lanifici spazzati via dalla piena del torrente Strona. Superato un primo momento di grande difficoltà, grazie alla determinazione che contraddistingue il carattere biellese, l’alluvione rappresentò invece un’occasione di rilancio delle lavorazioni laniere, reso possibile dalla modernizzazione degli impianti a seguito della ricostruzione.
[…]
Vari stabilimenti industriali dimessi – il Biellese conserva un ricco patrimonio industriale costituito dai lanifici ottocenteschi a più piani – sono stati trasformati in centri d’arte e di creatività, sedi di Fondazioni, centri di documentazione, residenze o centri commerciali, contribuendo in tal modo alla crescita culturale ed economica del distretto.
La cultura e il patrimonio che derivano dalla secolare pratica laniera vengono oggi considerati non solo come beni irrinunciabili, ma anche come risorse utili per la promozione del territorio; proprio questo è il presupposto alla base del progetto della “Strada della lana” predisposto dal DocBi – Centro Studi Biellesi e dal Politecnico di Torino. La finalità del progetto è infatti quella di contribuire al rilancio del territorio, penalizzato dalla crisi del settore tessile, non soltanto con il recupero della sua memoria storica e il riconoscimento della propria identità, ma anche tramite la realizzazione di iniziative concrete indirizzate al sostegno dell’economia locale anche attraverso l’ideazione di nuovi prodotti. […]
Giovanni Vachino