Il tessile biellese
- 1882: il Biellese tessile alla ricerca del suo mito
- I libretti di lavoro del Lanificio Trabaldo Pietro Togna
- Tessile e sport
- Patrimonio e paesaggio industriale dalla tutela allo sviluppo
- La lana e le lavorazioni artigianali della lana
- Lavoro minorile nell’industria biellese dal secondo Ottocento al fascismo
- Memorie della nostra terra
- Il paesaggio sonoro dell’industria
- Terra di telai: l’industria tessile nel Biellese
- Ieri, oggi, domani
- Il protagonismo femminile nel Biellese: filantropia, lavoro sociale e mutuo soccorso
- Il Biellese nell’Ottocento: dalle comunità rurali alla società di fabbrica
- La nascita della questione operaia nel Biellese e il grande sciopero del 1877
- Il Biellese e i sarti
dal catalogo della mostra Le fabbriche e la foresta – Forme e percorsi del paesaggio biellese organizzata dal DocBi – Centro Studi Biellesi
Il suono della sirena divenne ben presto, al pari della ciminiera, uno dei simboli dell’industrializzazione del territorio; in effetti la ciminiera e la sirena dominano l’orizzonte visivo e quello sonoro ma, se la ciminiera costituisce ancora oggi un segno forte nel paesaggio industriale – nel Biellese se ne conservano ancora oltre cinquanta – il suono della sirena, tranne qualche caso ormai raro, è stato progressivamente soppresso; da qui la necessità di fermarne almeno il ricordo. È singolare l’identificazione, diffusa e documentata, tra la ciminiera e la sirena, probabilmente dovuta al fatto che le sirene in alcuni casi erano poste proprio sulla ciminiera con l’evidente intenzione di ampliarne l’orizzonte sonoro.
Per oltre un secolo nelle valli del Biellese, ma anche nella stessa città di Biella, l’urlo della sirena ha condizionato la vita quotidiana non soltanto dei lavoratori, ma di tutta la popolazione. Appare difficile oggi capire come le comunità potessero accettare, senza proteste, un suono prolungato e lacerante ripetuto a più riprese ancor prima dell’alba.
Il rapido trascorrere del tempo era scandito, nell’arco della giornata, dal suono ripetuto e diverso della sirena, come vivacemente ricorda Alba Albertazzi riferendosi alla valle del Cervo ed al periodo precedente l’ultima guerra: “Ogni sirena aveva il suo suono personale che ci faceva dire a sciubia Miaian, a sciubia a Cà di Gallo. Diverso il suono acuto o grave, diversa la durata del fischio…Normalmente suonavano mezz’ora prima dell’inizio del lavoro, al momento di dare acqua alle macchine, e poi suonavano per lo stacco. La prima a dare la sveglia col suo vocione grave era la sirena della Polla (la filatura del cotonificio Poma). Alle quattro e mezza il primo fischio: doveva svegliare gli operai del primo turno che iniziavano alle sei, se non alle cinque. Tanti di questi operai dovevano partire da casa molto presto. […]
A mezzogiorno, chi un po’ prima chi un po’ dopo, suonavano la pausa di due ore. […] All’una e cinquanta fischiavano ai des e alle 14 l’ultimo, a subia l’ultim, e poi riposavano fino alle 18 quando suonavano quasi tutte contemporaneamente, meno quella dei Poma di Miagliano che suonava alle 18.30 e ciò perché gli operai di questa ditta, a differenza delle altre, avevano ottenuto il pomeriggio del sabato libero, detto sabato inglese, in cambio di circa tre quarti d’ora di lavoro in più al giorno. In seguito la settimana di lavoro fu ridotta a quarata ore settimanali con il sabato libero che fu chiamato sabato fascista.”
[…]
La sirena non suonava soltanto per chiamare gli operai al lavoro; a Ponzone quella del lanificio Giletti, ma non è questo il solo caso, veniva utilizzata anche per radunare i vigili del fuoco volontari in caso s’incendio. Sempre a Ponzone, come pure a Coggiola, la sirena suonava il venerdì santo, alle ore 15, per ricordare la morte di Cristo. In questa occasione agli operai erano consentiti alcuni minuti di raccoglimento, senza fermare le macchine, fino al nuovo suono, dopo tre minuti, che sollecitava la ripresa dell’attività.
L’orizzonte sonoro che al tempo delle campane determinava l’estensione della parrocchia, più recentemente definiva anche una graduatoria tra gli stabilimenti industriali: solo i maggiori erano dotati della sirena che gli operai riconoscevano come la propria; ecco allora a Pettinengo i Bellia, a Miagliano i Poma, a Ponzone i Giletti, a Trivero gli Zegna, a Coggiola i Bozzalla, a Vallemosso i Botto, a Pollone i Piacenza, a Pray i Trabaldo, ecc.; era motivo di orgoglio per l’imprenditore sovrastare con il proprio suono quello della concorrenza che doveva essere vinta anche con la puntualità che faceva testo perfino sul campanile!
Il suono delle sirene, un tempo funzionanti a vapore, si insinuava nelle valli strette e raggiungeva le frazioni più lontane, condizionato, oltre che dai venti dominanti, anche dal variare delle condizioni meteorologiche […].
Se il suono della sirena era tanto pregnante nell’ambito della comunità, è possibile ipotizzare che il paesaggio sonoro del Biellese sia stato determinante per “certificare” l’appartenenza ad una comunità basata sul sistema di fabbrica; è quindi legittimo considerarlo come uno degli elementi forti che determinavano l’identità comunitaria. Il paesaggio sonoro, nel Biellese industriale, era certamente dominato dal suono della sirena ma tuttavia non era questo l’unico suono prodotto dal lavoro tessile. Già Samuel Butler annotava, nella seconda metà del XIX secolo, come in Biella si sentisse ovunque “lo scatto delle spole”; attraversando i paesi del Biellese era comune, ancora in tempi molto recenti, udire dappertutto il battito dei telai oppure il ritmare delle roccatrici, provenienti non soltanto dai piccoli saloni industriali ma anche dalle stesse abitazioni, che in molti casi ospitavano modeste attività artigianali.
Anche se i suoni prodotti dalle macchine nei luoghi di lavoro […] vengono oggi giustamente limitati da tutta una serie di regolamenti estremamente severi […], qualche sirena, il cui suono è utilizzato dai moderni compositori, è stata mantenuta in funzione, soprattutto, ritengo, per tenere viva una radicata tradizione.
Giovanni Vachino