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“Hollywool”, gli archivi del Biellese in formato festival
“Una landa verde, solcata da acque pure e cristalline. Cinta da monti sui quali la neve si posa dando vita ad uno spettacolo da cartolina. Fiera di una tradizione operosa secolare, in cui aziende dalla fama ormai internazionale hanno contribuito al progresso di cultura, industria e stile. Ammettetelo: quante volte vi hanno introdotto al paesaggio biellese in maniera simile? Beh, stavolta è diverso”. Se vi capita, anzi fatelo capitare, di dare un’occhiata al programma di Archivissima 2021 vi imbatterete in questo attacco da soap opera, da fiction de noantri, da vecchia telenovela. Beh, stavolta è una cosa seria… “In esclusiva per Archivissima 2021, BI Archive Productions ha il piacere di presentarvi Hollywool, la serie evento della stagione! Un groviglio di storie, peripezie, personaggi ed eventi che si susseguono lungo una linea temporale imprevedibile, che si snoda e annoda fra le valli di un territorio avventuroso per vocazione”. Il tono di voce è ancora quello, e a questo punto dovreste esservi già resi conto che è un divertissement. Che il piglio e il taglio sono voluti. “Guida d’eccellenza in ogni episodio è una misteriosa dark lady: snob, altera, capricciosa, di lei non sappiamo molto, ma lei di Hollywool sembra conoscere ogni dettaglio. Come la Lady Whistledown di Bridgerton, è pronta a condividere con noi i segreti dei numerosi archivi custoditi a Biella e dintorni. Siete pronti a scoprire la storia come non l’avete mai vista prima? Mettetevi comodi, dunque, lo spettacolo sta per cominciare”. Oggi, alle 18.30, vanno in onda i quattro episodi di questa mini-serie che terrà tutti incollati al monitor. “Hollywool” è una folle idea geniale, una pazzia lucida, un qualcosa di cui il Biellese aveva ed ha bisogno. È il risultato di un percorso condiviso, cioè di una rete di “teste”, qualche volta pensanti, che ha dimostrato come anche qui da noi, udite udite, si può lavorare insieme a vantaggio del territorio. Poca cosa, diranno alcuni, tanta roba, diranno altri, ma la verità sta nel mezzo. Ovvero un prodotto narrativo a costo zero (in realtà trattossi di un cospicuo mazzo corale, ma non è il momento di bieche rivendicazioni sindacali), volutamente trash (che poi, forse, tanto trash non è), che con la scusa della “Notte degli Archivi” edizione 2021 porta un po’ di Biellese in una kermesse di buono o alto livello dove la dominante è la cultura. Sì, chiaro, con quella non si mangia, però chi è abituato a digiunare si sfama con poco e, di solito, rusca uguale perché ama e perché ci crede. Ama un posto che ha Biella al centro e una terra intorno che ha enormi potenzialità culturali, ma non lo sa. E se lo sa, fa finta di non saperlo e nicchia, ciurla nel manico, mena il can per l’aia, ironizza, autoironizza, progetta e non cantierizza, tra il disegno e l’impegno, sceglie il convegno. Ci crede nella possibilità vera di una narrazione differente che non sia solo il bla bla delle campagne elettorali… Ah, scusate, che matusa… Nelle campagne elettorali non si parla più di cultura: porta sfiga e poi c’è quella questione di dover mantenere le promesse che diventa fastidiosa quando non sì fa, un boomerang. Meglio soprassedere, che tanto non se ne accorge nessuno. Una narrazione differente che è un modo diverso di raccontare un territorio che ha bisogno più che mai di alternative, senza stravolgimenti, anzi. Tant’è che “Hollywool” è una storia di lana, una storia reticolare fatta di fili di lana che si intrecciano con fili di altre fibre a formare un tessuto denso, un’armatura bella chiusa di relazioni tra entità, persone, famiglie. Gli archivisti le chiamano EPF. Che figata gli acronimi, no? Quest’anno Archivissima credeva di averla messa giù dura, proponendo un tema enorme e sfidante: generazioni. Chi ha immaginato le quattro puntate di “Hollywool” non riusciva a crederci. L’argomento è biellesissimo, non poteva andar meglio, bastava dire quel che Biella e convalli sono: un insieme di generazioni, intese come sviluppi genealogici, e di cogenerazioni, intese come destini comuni. E poi c’era il non secondario elemento sorpresa, quello suscitato nel “mercato interno” dell’entertainment: troppo facile arrivare a un pubblico nostrano sempre meno consapevole di ciò che lo circonda, sempre più attratto dall’omogeneizzazione global, sempre più alieno rispetto al local. Definito il target, tanto per restare nel lessico di riferimento, occorreva stabilire il format. In sostanza, per parlare come si mangia, come tenere insieme quasi trenta archivi e/o affini, come farli emergere tutti, come non offrire al Biellese e del Biellese “culturale” una visione di se medesimo più soporifera di un reality senza porno? Usando il passepartout intellettuale dell’alba del terzo millennio: la serie tv. Sia onore al merito di chi – in via dei Seminari – ha avuto l’illuminazione e l’ispirazione per la sceneggiatura. E una volta segnato il cammino del contenitore, non è servito altro che muovere i passi del contenuto. Che detta così sembra una passeggiata, e invece no, ma la metafora paga sempre e rimaniamo sul sentiero. Questo pomeriggio non perdetevi un Biellese mai visto. Una terra di storie, intrecci e archivi… dove la pecora ruggisce e dove c’è un “coso”, almeno un “coso”, che unisce tutti. Ma tutti chi? Beh, tutti nel senso di tutti quelli che stanno sotto il Mucrone, da Mombarone a Monte Barone, secondo il principio dei sei gradi di separazione. Ma in questo caso, tutti sta più per quei “protagonisti” che hanno voluto e saputo mediare tra l’identità netta che li contraddistingue e la voglia di partecipare insieme a un evento importante.
Archivio di Stato di Biella, Archivio Lanifici Vercellone, Archivio Storico Gruppo Sella, ArtexBiella, Associazione Nazionale Alpini Sezione di Biella, Camera di Commercio di Biella e Vercelli – Novara – Verbano Cusio Ossola, Cappellificio Cervo, Casa Zegna, Centro di documentazione Camera del lavoro di Biella, Centro Studi Generazioni e Luoghi-Archivi Alberti La Marmora, Circolo Sociale Biellese, Città di Biella – Biblioteca Civica di Biella, Comune di Miagliano, Consorzio Biella The Wool Company, DocBi Centro Studi Biellesi – Fabbrica della Ruota, Elettrotecnica Vallestrona, Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, Fondazione FILA Museum. Fondazione Sella, ITIS Q. Sella, Istituto di istruzione superiore Eugenio Bona, ITS TAM Istituto Tecnico Superiore Tessile Abbigliamento Moda, Lanificio Botto Giuseppe & Figli, MeBo Menabrea Botalla Museum, Tintoria e Finissaggio Ferraris, Unione Industriale Biellese (molti loro fanno parte del Centro Rete Biellese Archivi Tessili e Moda). Ma avete visto che nomi? Che cast! Tutti con una parte rilevante, nessun comprimario, nessuna comparsa. E sia onore al merito di chi ha saputo guidarli in porto: la torre del Piazzo ha funzionato da faro. La tentazione di spoilerare è forte. Di spiattellare il come e il quando, ma è opportuno resistere. Manca pochissimo. www.archivissima.it, scopri il programma, scroll minimo, e via. Però possiamo anticipare, che non è spoilerare. Anticipare è come il trailer: vedo non vedo, alludo, ammicco, acchiappo. Per farla breve, c’è una tipa in tiro che si aggira per il Biellese e che non sai chi è fino alla fine. E già questo… Poi ci sono gli archivi (sai che notizia, in un festival per archivi…), ma in un modo che non ti aspetti perché il bello sta lì. Per dire: che cosa unisce la Sezione di Biella dell’ANA e il Cappellificio Cervo? Qual è il link tra le carte dei Vercellone e l’ITIS? Cos’hanno in comune la Fabbrica della Ruota e la Camera del Lavoro? La Biblioteca Civica e la Fondazione Sella? E gli Zegna con Oropa? C’è un nesso fatto di tanti nessi che connette il Biellese e i biellesi, un denominatore comune che i documenti, le fotografie, gli oggetti testimoniano. Il paese è piccolo e gli archivi mormorano storie che sanno di birra e di ghisa, di tintoria e di soldi, di banchi di scuola e di serate di gala, di lana sucida e di sudore sportivo, di pergamene e di elettricità. Donne e uomini di questa terra hanno vissuto le loro vite e ce le hanno trasmesse. Senza retorica, senza volontà di insegnare a tutti i costi. Proprio per questo meritano rispetto. Ma il rispetto non deve essere per forza un esercizio palloso. Valorizzare vuol dire attribuire e divulgare un valore, non monetizzare a breve termine e, meno ancora, trasformare il serio in serioso. Ecco perché “Hollywool” è un’opera buffa. E onore al merito a chi ha prestato la voce, la schiena e un po’ la faccia per drammatizzare sdrammatizzando, per prenderci un po’ in giro, che ne abbiamo tanto bisogno. Il gioco, perché di gioco si tratta, vale sempre la candela e con quella candela si è reso meno oscuro un tempo non certo luminoso come è il nostro. La signora capricciosa, irriverente e pettegola che conduce svela una ricchezza sorprendente, che sorprende gli stessi addetti ai lavori. Dietro ogni accenno c’è un mondo. Ogni elemento chiamato a rappresentare queto o quel conservatore implica e suggerisce giacimenti inesplorati e collegamenti non ancora instaurati. E non è un pippone da intellettualoidi di provincia. Non è che se si prova un nuovo trip, a Milano spacca e a Biella è una puttanata. Il meccanismo dei rimandi che richiamano altri rimandi rischia di diventare un sistema di vera economia e non quegli spiccioli (mentali, prima che finanziari) che investiamo nell’attrattività culturale e, di conseguenza, turistica di questo territorio. Alla roulette, chi punta poco vince poco. Puntare molto vuol dire pericolo di perdere molto, ma anche possibilità di cambiare le cose. Se si guarda “Hollywool” con un occhio un po’ più aperto, cioè non osservandolo solo come quel divertissement di cui sopra, si può cogliere un messaggio di fondo nemmeno tanto subliminale. La costruzione di un percorso tematico come quello strutturato nei quattro “videi” si basa sull’interazione tra istituzioni culturali, istituti scolastici, enti locali e aziende, anche in forma associativa. E la sequenza narrativa esplicita la contiguità fisica e la continuità concettuale e funzionale dei vari componenti della BI Archive Production. Il Biellese non è diverso da altri territori, o forse un po’ sì, ma in ogni caso la vera diversità sta nella capacità (dimostrata) di offrirsi per una lettura stratificata, anzi per molteplici livelli di letture stratificate. Il risultato, è lì da vedere, non è una sommatoria, bensì un fattoriale. Ogni “nodo” moltiplica quelli precedenti e la rete esprime valori rilevanti. Bisogna far tesoro di questa esperienza, che è il risultato di quella dell’altro anno, dove il numero degli aderenti era di molto inferiore, ma comunque già significativo. Il percorso compiuto dalla narratrice è un modello replicabile, una matrice da tenere costante e non estemporanea. Se può farlo la lady alla Bridgerton che conoscerete questa sera, potete farlo anche voi e, come voi, tutto il mondo. Va da sé che bisogna creare le condizioni giuste, ma l’investimento vero deve andare in quella direzione. Non serve inventare alcunchè, c’è già tutto. Ma è un tutto non organizzato e, soprattutto, non comunicante, o pochissimo. Se si vuole considerare la vetrina di Archivissima anche come piattaforma di visibilità territoriale, ben venga, ma poi si torna nella casistica delle promesse e del poterle e saperle mantenerle. La versione digitale (indotta dal Covid) di Archivissima è stata ed è una grande occasione. L’accesso virtuale agli archivi, ai loro contenitori, ai loro conservatori, alle aree territoriali di riferimento, è una prerogativa più che fondamentale. Eppure, la viabilità digitale al Biellese è ancora molto molto molto al palo. Non si fa business, anche quello culturale, senza strade. Si può cullarsi nel romanticismo dell’isolamento come carattere attrattivo del Biellese, ma solo in senso fisico. In senso digitale, non essere raggiungibili significa non essere. Osservate le varie situazioni di “Hollywool” e riflettete su come e su quanto quelle stesse situazioni sarebbero e sono “vendibili”. Ma perché lo siano davvero, occorre che siano visibili e, più ancora, che siano accessibili non solo singolarmente, ma collettivamente, dove la massa sia massa critica, dove l’unione faccia la forza. Può solo avvenire sul web. Almeno per ora. E attenzione a non provare la scorciatoia mentale delle App. Le App vanno riempite di cose belle e buone, altrimenti sono sacchi vuoti o cloni inutili, quando non dannosi, o pessime serve di pessimi padroni. Il “tour” della femme savante che comincia nel tardo pomeriggio non è un esercizio di stile fine a se stesso. Ci sono opzioni concrete sul tavolo. Un “tour” archivistico ne vale uno archeologico o storico-artistico. È solo una questione di ignoranza da vincere, di pregiudizi da superare e di modalità di proposta. Sarebbe una novità. Cambiare l’ordine degli addendi può portare a risultati diversi da quelli attesi dal cinismo e dalla pigrizia. Gli archivi al centro e il resto a corredo, per una volta. Il Biellese potrebbe essere senza fatica il luogo dell’inversione e dell’innovazione. Pilotare, fare scuola. Molto di ciò che sta negli archivi è nuovo, molto di ciò che sta fuori dagli archivi è vecchio. Buon “Hollywool” a tutti.