A campione
- Agenda Digitale Biellese – Database Multimediale Infinito
- Archivissima
- Archivissima 2021
- Archivissima 2022
- Archivissima 2023
- Archivissima 2024
- Archivissima 2024 – Archivio del Capitolo di Santo Stefano
- Archivissima 2024 – Archivio di Stato di Biella
- Archivissima 2024 – Archivio Lanifici Vercellone – Comune di Sordevolo
- Archivissima 2024 – Biblioteca Civica di Biella
- Archivissima 2024 – Camera di Commercio Monte Rosa Laghi Alto Piemonte
- Archivissima 2024 – Centro di documentazione sindacale “Adriano Massazza Gal”
- Archivissima 2024 – Santuario di Oropa
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi: Biblioteca e scuola professionale interna del Lanificio Giletti
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi: Cooperativa Trivero Fila e Giardino
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi: Lanificio Fratelli Fila di Coggiola
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi: Ospizio degli Esposti di Biella
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi: La Scuola Statale di Avviamento Professionale di Trivero
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi: Unione Industriale Biellese
- Archivissima 2024 – DocBi Centro Studi Biellesi: Zegna Baruffa Lane Borgosesia
- Armature e messa in carta
- Biellese Terra di Telai
- Come nasce un campionario: interviste ai protagonisti
- “Compere” nel ghetto a metà Settecento
- Disegnare la lana: l’industria tessile “raccontata” da Epifanio Pozzato
- Fabbriche d’acqua [documentario]
- Filo 2016
- “Il Biellese”, il libro del CAI del 1898
- Il film-documentario di Adolfo Lora Totino
- La collezione di manifesti di Filippo Buratti
- L’invasione degli “alieni”
- La lana: comfort e salute
- La lettera di Pietro Sella ai fratelli sui campionari
- Le fornaci da calce di Sostegno
- Kaufsystem e Verlagsystem
- MAC Mestieri d’Arte Contemporanei
- Passeggeri inattesi lungo le vie del tessile
- Personaggi biellesi: la poetessa Giulia Poma
- Po.In.Tex – Polo di Innovazione Tessile
- Seta
- Viaggio nell’Ottocento
- Eisenhower, lo sciopero e Sant’Antone dal porchët
Da Rivista Biellese, aprile 2014.
Nel 1723 le leggi sabaude imposero agli ebrei la registrazione dei loro scambi commerciali; dai documenti conservati (1724-57) emergono rammenti di vita della comunità cittadina
«Dovranno gli Ebrei notar in un Libro i Contratti di Compra, Pegno, ed altri, che faranno co’ Cristiani, descrivendo il nome, e cognome delle Persone, con specificazione delle cose contrattate» sotto la pena di venticinque scudi d’oro. «Di mese in mese sotto la stessa pena dovranno dare la nota al Segretario del Tribunale, ove dimoreranno, delle suddette Compere, e de’ Pegni, esprimendo chiaramente tutte le circostanze, sopra le quali avranno convenuto». Di conseguenza, «i suddetti Segretarj saranno tenuti di ricevere dette Consegne ogni volta che loro si presenteranno, e quelle fedelmente registreranno, sotto la pena di Scudi venticinque d’oro, in un Libro a ciò destinato che dovrà da essi di mese in mese soscriversi, ed al quale si darà intiera fede tanto in giudizio, che fuori».
Il 20 febbraio 1723 furono pubblicate le Leggi e Costituzioni di S. M. il Re di Sardegna. Le disposizioni di cui sopra erano già contemplate in quella raccolta che, pur essendo l’esordio giuridico-amministrativo dell’illuminato Settecento sabaudo, è considerata, secondo la Treccani on line, «una pura e semplice consolidazione degli editti sabaudi preesistenti e non un nuovo testo legislativo». Il corpus legislativo è bilingue, italiano e francese, dato che il Regno di Sardegna, pur avendo per capitale Torino, si estendeva di qua e di là delle Alpi, nel Piemonte come nell’antica Savoia. Gli stessi dispositivi furono riproposti nella versione riveduta e corretta del 1729, quella nota semplicemente come Regie Costituzioni. Il primo dei sei libri in cui sono divise le norme che avrebbero regolato la vita del regno è dedicato alla “gestione” del culto. L’assolutismo dei Savoia, non troppo lontano da quello transalpino, riguardava anche la fede dei sudditi, tanto cristiani quando giudei. Il «Titolo VIII» di quel primo libro era, infatti, tutto dedicato alle comunità israelitiche e le nuove “attenzioni” governative non portarono loro nulla di buono. Anzi, il «Capo I» si intitolava esplicitamente «Della segregazione degli Ebrei da’ Cristiani» e il primo paragrafo stabiliva che «Nelle città, nelle quali sono tollerati gli Ebrei, si stabilirà un Ghetto separato, e chiuso per l’abitazione di essi, e quelle famiglie, che si trovano sparse negli altri luoghi, dovranno un anno dopo la pubblicazione delle presenti andar ad abitare nelle dette Città, proibendo loro d’introdursi senza nostra licenza in quelle, nelle quali non sono per anco stati ammessi». Nel 1723 dunque nascono in tutte le città piemontesi, Biella inclusa, i ghetti degli ebrei.
[…]
Complessivamente si può dire che il valore totale delle transazioni ammonta a circa 5.000 lire dell’epoca, una media di 250 lire l’anno. Non è molto, ma comunque rappresenta una cifra significativa se si considera una popolazione residente di gentili pari a nemmeno 6.000 individui e l’indice numerico della comunità ebraica di Biella che non superava le 30 unità (inclusi i minori).
[…]
280 transazioni. La maggior parte di esse riguarda vere e proprie vendite, ma non mancano esempi di deposito in pegno; in questi casi, concentrati per lo più nei primi anni di compilazione dei libri, nella registrazione era evidenziato il «principale», ossia il valore intrinseco dell’oggetto, mentre erano sottointesi gli «interessi hebraici», evidentemente noti a tutti e differenti da quelli applicabili tra cristiani, che facevano riferimento al periodo di cessione dopo la scadenza del diritto di riscatto del bene «imprestato». Il perché i biellesi non ebrei non si servissero semplicemente ed esclusivamente del Monte di Pietà attivo in città dal primo Seicento può essere spiegato dal fatto che, forse, i «perfidi giudei» riconoscevano controvalori maggiori e condizioni più favorevoli, quindi trattare con loro poteva magari risultare più conveniente che non col banco dei pegni cristiano-cattolico.
[…]
La lettura delle registrazioni ha consentito di costruire un database da cui ricavare alcune rilevazioni quantitative. Gli stessi dati consentono di proporre alcune elaborazioni statistiche che, ovviamente, andrebbero contestualizzate in realtà più ampie, ma che portano comunque a considerazioni e riflessioni di carattere meno matematico e più «storiografico». In tal senso, è utile rammentare, per esempio, che le Regie Costituzioni non permettevano «a verun’Ebreo di contrattare a titolo di Vendita, permuta, o pegno, né in altro modo trafficare Mobili di veruna sorta, ori, o argenti, che abbiano servito al culto Divino, o delle Chiese, sotto pena di Scudi venti cinque d’oro, e del doppio valore della roba contrattata, oltre alla restituzione da farsi gratis delle robe, che avessero ricevute in pegno, permutato, o contrattato» e, per contrastare la ricettazione, era intimato agli ebrei di non comprare «Vasi, o Arredi d’oro, o d’argento, o Gemme, o Vestimenta, o qualunque altra sorta di robe, che ad essi si vendano, o si diano per vendere da Persone tanto non conosciute, che sospette, o quando conveniranno d’un prezzo assai minore di quello, che comunemente si venderebbero».
[…]
le succitate transazioni, in termini di natura merceologica o di tipologia dei beni, riguardavano «mercanzie» che è possibile individuare e ripartire percentualmente come segue: 45% capi o accessori di abbigliamento, 30% argenteria/oreficeria, 15% armi/arredi/stoviglie, 7,5% tessuti, 2% metalli, 0,5% immobili.
[…]
Gli undici registri della Giudicatura di Biella, al di là dell’interesse per la storia della comunità ebraica cittadina, rappresentano una fonte generosa per altri approfondimenti storiografici. Scorrendo le registrazioni si genera spontaneamente un ricco glossario di termini “strani” in quanto dialettali o desueti, un piccolo vocabolario che in alcuni casi crea non pochi problemi di significato. Che si fosse a Biella è evidenziato dalla grande varietà di parole di connotazione tessile (più ancora di quelli riferibili all’abbigliamento) che dovevano costituire il “vocabolario” più condiviso della zona. Per quanto riguarda i tessuti: alfetic (o alphethic, dal tedesco halftuck, «mezzotessuto»), bandera, bambasina (o bombasina), cadis (o cadisso), dophina, dossé, droghetto (anche droghetto d’Inghilterra o droghetto «meschio»), flumina, fustana (o frustano), gallone (per lo più d’argento), gamelotto, indiena, mezzalana, molitone, mussolina, operato, panno del Nor (ovvero del Nord), pirlatta, rista, saglia (anche saia di Londra), sargia, satina, scaparrone, scarlatino (o scarlatta), scotto, segagna, seresia, stamegna (o stamigna), taffetà, tela «d’ortiga» (per le fodere) ecc. Dette stoffe potevano presentarsi nei colori «canella», cenere, «epire», fava, garofole, gialdo, negro, oliva, rosetto, «tanetto» (ossia tané, dal francese tanner cioè conciare; la corteccia tanninica di alcune piante, prima tra tutte l’ontano da cui la sostanza chimica prende il nome, utilizzata nelle concerie conferiva al cuoio e alla pelle il tipico colore castano scuro che assumevano anche le stoffe tinte con gli stessi principi attivi).
Si ferma qui questo esercizio di analisi “micro-economica” finalizzato a stimolare la curiosità sia per le vicende dei biellesi israeliti (vicende la cui ricostruzione si dimostra quanto mai lacunosa per il periodo precedente alla metà dell’Ottocento) sia per una realtà sociale, quella del Biellese settecentesco, complessa, dinamica e ancora in larga misura da scoprire.
Danilo Craveia